Pubblicità

“Nei grandi organi delle stazioni risuona l’onda del partire che fu”. Leon-Paul Fargue scrisse questi versi nel 1914, l’anno in cui comincia la discesa agli inferi dell’Occidente. Anche in quell’anno gli intellettuali europei si divisero sulla guerra. Si divisero come si dividono oggi di fronte alla guerra in Ucraina e alle atrocità cui ogni giorno assistiamo e che le parti in conflitto imputano vicendevolmente l’una all’altra. Ultime immagini a colpirci (e a dividere sul piano delle opinioni) quelle di Bucha e della stazione di Kramatorsk. Una strage. Almeno cinquanta vittime civili, in fuga dall’orrore, che hanno sentito risuonare per l’ultima volta “l’onda del partire che fu”. Un missile si è abbattuto all’improvviso su di loro. Sulla stazione della sperata sopravvivenza diventata stazione ultima del dolore e dell’eccidio. E sia i russi che gli ucraini negano di averlo scagliato.

Di chi la colpa allora? Forse di un fulmine caduto dal cielo per punire la malvagità degli uomini? Se così fosse il fulmine avrebbe centrato la parte sbagliata, la parte incolpevole dell’umanità. Avrebbe centrato la popolazione civile, vera vittima di questo come di ogni conflitto bellico moderno. Vittima sempre di chi li scatena facendo cigolare tragicamente le ruote della storia.

Non è facile avere certezze e verità nella guerra. Perché propaganda e menzogne le sono consustanziali. E bisogna saper leggere le immagini, non lasciarsene ingannare. Ma cosa cambia a questo punto? Saper distinguere tra chi dice la verità e chi fa propaganda contro il nemico attraverso immagini scioccanti aiuta forse il negoziato per la pace? Non vuole al contrario ritardarlo se non proprio frenarlo nel momento in cui sta per fare qualche passo avanti?

E sparare contro il negoziato è la cosa peggiore. Vuol dire semplicemente che uno dei due stati in guerra non vuole la pace. Una pace che ha due possibili punti d’incontro: la neutralità dell’Ucraina, la sua finlandizzazione; e il Donbass alla Russia come condizioni per una fine del conflitto che non sia disonorevole per nessuno.

Si sentono, si sono sentite tante spiegazioni sulle cause, vicine e lontane, della guerra. Siamo divisi e schierati sul piano delle opinioni e delle convinzioni riguardo all’Occidente e ai suoi modelli alternativi, a favore oppure contro Putin, sulla Nato come alleanza militare di difesa o di espansione dopo la fine del mondo sovietico, sulla storia dell’Ucraina come territorio su cui è nata la Santa Russia, e persino sulla religione e sul mito di Mosca come Terza Roma che vede unito il potere politico del Cremlino e il potere spirituale del patriarca russo ortodosso Kirill. E a queste, già tante, potremmo aggiungere altre dispute ideologiche. Fermiamoci invece. Perché siamo vicini al cinquantesimo giorno  di una guerra che doveva essere lampo. E perché divisioni ideologiche, divulgazioni di atrocità (che potrebbero essere vere ma pure non esserlo) non portano da nessuna parte. Ora contano solo la trattativa seria, il negoziato diplomatico vero. In grado di bilanciare le ragioni del popolo ucraino alla democrazia e all’autodeterminazione e quelle della sua neutralità militare come garanzia geopolitica di pace. Non è facile ma è l’unica strada.

Gaetano Cellura