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Si avvicina il quarantesimo anniversario dell’omicidio di Pio La Torre. Ucciso in piazza Turba, a Palermo (30 aprile del 1982), proprio nel giorno dell’arrivo a Punta Raisi del generale Dalla Chiesa, voluto dallo stesso La Torre per combattere la mafia nell’Isola, e ventisei giorni dopo la manifestazione pacifista contro l’istallazione dei missili a Comiso. Manifestazione che il segretario regionale del Pci non aveva esitato a promuovere e a sostenere.

Erano altri tempi. Sulla pace e sulla guerra la sinistra italiana parlava la stessa lingua. Non si divideva come oggi in guerrafondai e pacifisti, in pro Putin e contro Putin e persino sul significato di “resistenza” e sul diverso valore da attribuire quest’anno al 25 Aprile di fronte all’invasione russa dell’Ucraina.

Quando, atterrato Dalla Chiesa a Palermo, i giornalisti gli chiesero perché era morto Pio La Torre, il generale (che cento giorni dopo avrebbe fatto la stessa fine) rispose: “Ѐ morto per tutta una vita”. Una vita sacrificata nell’impegno contro la mafia – era stato lui a proporre la legge Rognoni-La Torre –, sacrificata per i diritti sociali dei braccianti e negli ultimi tempi per la pace nell’era atomica. Una vita ricostruita dal docufilm Ora tocca a noi di Walter Veltroni e di Monica Zapelli, ricco di testimonianze e di materiale d’archivio. Quell’ <<Ora tocca a noi>> (di una conversazione di Pio La Torre con Emanuele Macaluso) era solo l’inizio di una tragica frase premonitrice: “Tocca a noi allungare la scia di sangue che macchia Palermo”.

Il segretario regionale comunista era certo che dietro i missili della Nato a Comiso, puntati contro l’Unione Sovietica, ci fossero gli interessi della mafia; e che l’impegno a fianco dei cortei pacifisti, la raccolta di un milione di firme del popolo siciliano contro la base missilistica servisse a combatterne il criminale predominio. Oltre, si capisce, alla difesa della pace come bene supremo.

Le cose ora sono cambiate nella variegata e per certi aspetti irriconoscibile galassia della sinistra. Si pensa, in Italia e in Europa, che l’invio di armi all’Ucraina serva al raggiungimento della pace e non al prolungamento della guerra. Ci si schiera acriticamente sulle posizioni della Nato senza riconoscerne anche le responsabilità sull’origine del conflitto. Si sottovaluta il ruolo del negoziato (un negoziato serio, s’intende) che l’Unione europea avrebbe potuto esercitare se non si fosse subito appiattita sulle posizioni americane e avesse guardato, rimanendo neutrale, più ai propri interessi e ai rischi derivanti da una guerra nel proprio continente.

Ma le parole neutralità e pace sono scomparse dagli odierni vocabolari. Soprattutto è scomparso il loro significato morale ancora fortemente vivo e maggioritario nella sinistra ai tempi di Pio La Torre. Oggi è morale far salire il deficit sino al due per cento per le spese militari, per inviare armi al paese aggredito (ma non nostro alleato) che ce li chiede. Oggi è morale il pacifismo belligerante in nome della “guerra giusta”, senza più far caso neppure alle parole contraddittorie. E giustamente la filosofa Donatella Di Cesare ci ricorda che “pacifismo belligerante” è una contraddizione in termini. E in qualche modo lo è anche la definizione di “guerra giusta”: in un mondo che, come ai tempi dei missili a Comiso, è tornato pericolosamente contrapposto. E come allora, non dimentichiamolo, sempre minacciato dal nucleare.

Gaetano Cellura