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Accadrà? Questa domanda, angosciante, ce la siamo posta di continuo in questi giorni di guerra annunciata. E il punto interrogativo è stato solo un segno di flebile speranza. Perché sapevamo che sarebbe accaduto. Ed è accaduto stamattina, alle prime luci dell’opalescente cielo sopra quelle terre dell’Est. La guerra torna così nel cuore dell’Europa. Torna con i suoi interessi e le sue menzogne. Torna con le sue sciagure per i popoli, vittime dei nuovi pastori di lupi. Torna perché non c’è diplomazia o minaccia di sanzioni economiche che possano valere quando questi pastori mettono in moto i loro denti: “i denti della luce breve – direbbe Ungaretti – che punge i nostri giorni”.

Non so dire da quale parte stia la ragione. Se dalla parte di Putin, che ritiene l’Ucraina una minaccia armata alle sua porte. Armata dagli Usa. O se stia dalla parte dell’Ucraina: un paese diviso tra indipendentisti, che sognano la Nato e una collocazione occidentale, e filorussi che vogliono stare dalla parte opposta. Sotto la madre Russia. So però che un popolo rischia tanto. So che tutti rischiamo tanto, e forse tutto, allorché una superpotenza nucleare invade un paese vicino e ne accerchia in modo inespugnabile i confini. E allorché vediamo scene non più immaginabili in Europa: di civili nei bunker, di esplosioni all’alba, di carri armati che avanzano; e di un esodo della popolazione civile da Kiev verso luoghi più sicuri. Ma quali?

Lì la situazione è piuttosto complessa. Vi si vivono rancori che si tramandano e che storicamente risalgono al socialismo reale e vanno anche oltre. C’è il disegno politico “putiniano” della grande nazione russa. C’è il problema dell’acqua per la Crimea, il cui  approvvigionamento dipende dall’Ucraina. C’è la volontà russa di regolare i conti con il premier ucraino, risalenti al 2014. C’è, e non ultimo, in quest’ora sempre più buia, il confronto-scontro su scala planetaria tra autocrazia e democrazia.

Accadrà? Ebbene sì, è accaduto. Ѐ accaduto, con il ritorno in Europa dei pastori di lupi, lupi dotati di armi nucleari, e della  cenere, non del sogno o del seme d’amore, che sta per prevalere (sono ancora i versi di Ungaretti a guidarci) nell’umana notte.

Gaetano Cellura