Due capi religiosi: il papa di Roma e il patriarca ortodosso di Mosca. Uno parla di pace e invita le due nazioni in guerra a fermarsi durante la Pasqua. L’altro (secondo quanto riporta l’agenzia di stampa Tass) si rivolge al Signore chiedendogli di proteggere la madrepatria russa “dai nemici interni ed esterni”; e lancia un forte appello al popolo a raccogliersi “attorno alle autorità”, che hanno il dovere a loro volta di servire sempre il popolo con umiltà. Papa Francesco parla a tutti i cristiani e in particolare ai cristiani impegnati in questa guerra folle. Il patriarca Kirill parla solo ai cristiani russi: è lui stesso in guerra, come un papa dei secoli lontani. Sfrutta questa guerra come una guerra di religione, fa del Cremlino e della Chiesa russa ortodossa un unico potere, un Leviatano religioso e politico. Scettro, spada e bastone pastorale. Simul stabunt, simul cadent. Un potere unito in una guerra contro i valori nichilisti e blasfemi dell’Occidente, contro le divisioni della chiesa ortodossa orientale e contro l’alleanza della chiesa di Kiev con il patriarcato di Costantinopoli. L’alleanza dei due poteri, che nel Leviatano di Hobbes stando uniti esprimono il massimo della forza e della protezione per il popolo, rinvigorisce Putin nella guerra all’Ucraina (e all’Occidente). Combattuta anche in nome della Santa Russia.
Quella del patriarca Kirill è una crociata contro i nemici dei valori della religione e della vera fede cristiana. E Putin in questo quadro diventa un imperatore medioevale alleato con il papa. Rappresenta (secondo vecchie categorie storiche) il potere temporale rafforzato dall’alleanza con il potere spirituale. Sul piano pratico, storico e propagandistico è per lui il massimo.
Detto questo, il punto su cui riflettere, quello che più riguarda la cristianità, è la scelta del patriarca Kirill di stare da una parte sola: senza infingimenti, tentennamenti e remore. Di fatto con la sua scelta il Patriarca antepone lo scontro all’interno della Chiesa ortodossa d’Oriente alle atrocità della guerra tra Russia e Ucraina, ai soldati (cristiani) caduti al fronte da ambo le parti, alle tante vittime civili che emergono dalle fosse comuni, alle violenze dentro le chiese dell’Ucraina di cui si ha notizia. Antepone al Vangelo la politica e la propria supremazia religiosa nel mondo ortodosso. Antepone i valori del mondo russo ai valori decadenti della civiltà occidentale. E in nome dei valori puri del proprio mondo giustifica la guerra del Cremlino.
Dirimpetto a lui c’è papa Francesco, che chiede – cristianamente, evangelicamente – di deporre le armi, parla di tregua (almeno nei giorni di Pasqua) e insegue un’altra – e ben diversa – supremazia: quella della pace sulla guerra. Per il bene dei cristiani e dell’umanità intera. “Che vittoria sarà – si domanda Francesco – quella di chi pianterà una bandiera sulle macerie”? Per parafrasare Brecht, questa guerra non è la prima. Altre ce ne sono state. E sempre ci sono stati vincitori e vinti. Fra i vinti era la povera gente a far la fame. E tra i vincitori pure.
Gaetano Cellura