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Fioccano avvisi di garanzia per 72 indagati dentro al Sistema Girgenti Acque come è stato definito. Si tratta dunque di un’inchiesta così articolata e vasta – e va infatti oltre la nostra stessa provincia – che, nel caso in cui le notizie di reato (dalla corruzione al voto di scambio, per citarne solo alcune) dovessero trovare conferma, ci troveremmo di fronte a una vera e propria bancarotta morale della provincia di Agrigento. Perché coinvolgerebbe non solo soggetti privati, che amministrano un bene pubblico e prezioso come l’acqua, ma anche la politica in modo trasversale e soprattutto istituzioni da cui ci si aspetta rigore, fermezza e trasparenza.

Da tempo corrono voci intorno alla società Girgenti Acque. Da tempo si parla di favori chiesti e ottenuti da molti politici della provincia: assunzioni di amici e parenti. Da tempo si parla anche di altro, e ben più serio di semplici raccomandazioni per un posto di lavoro. Si parla di mafia, stando alle dichiarazioni del pentito Di Gati di Racalmuto. Anche se nessuno oggi è indagato per questo reato. Si parla di un carteggio inviato dalla Procura Antimafia di Palermo e dalla Questura di Agrigento al prefetto Diomede (anche lui tra gli indagati e ieri rimosso dall’incarico) in cui si segnalava nel 2013 una società che deteneva il 33% delle azioni di Girgenti Acque cui era stato negato il certificato antimafia. Con l’invito al prefetto ad adottare la relativa “interdittiva” alla società di cui il patron Marco Campione, altro indagato, detiene il 51% e a sua volta condannato con sentenza definitiva nel processo sul cemento depotenziato dell’ospedale Sant’Elia di Caltanissetta (articolo di Mario Barresi su la Sicilia di ieri).

Da tempo corrono voci. E da tempo dunque tutte le persone coinvolte in questa indagine sono sotto osservazione da parte degli inquirenti.

Vedremo come andrà a finire. Oggi possiamo solo prendere atto che non è servito un referendum per il ritorno all’acqua pubblica a scardinare un sistema così potente di privatizzazione di un bene vitale per i cittadini, che lo pagano a peso d’oro ma  senza poterne fare uso potabile. E basta questo, pur senza l’attuale inchiesta, a darci la misura degli errori e dell’improvvisazione con cui ha agito la politica siciliana quando ha deciso di privatizzare la gestione dell’acqua e quella dei rifiuti.

Gaetano Cellura