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6176Il 20 dicembre scorso l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato una Risoluzione per il bando universale delle mutilazioni genitali femminili, palese violazione dei diritti umani. Viene chiesto a tutti i paesi del mondo di introdurre misure legislative in difesa di donne e bambine e per porre fine all’impunità verso questa grave forma di violenza. Dietro l’importante Risoluzione ci sono anni di lavoro di Stati membri dell’Unione Africana (Burkina Faso e Guinea), di Stati dell’Onu (Italia) e di donne impegnate – Emma Bonino e Chantal Compaorè – che hanno intrapreso iniziative di lotta nei loro paesi e a livello internazionale. Oltre all’impegno del Partito radicale transnazionale e di alcune ONG. Il 3 e il 5 febbraio Non c’è pace senza Giustizia organizza al Senato un evento di alto livello sul bando delle mutilazioni genitali femminili per discutere delle misure da adottare sia in campo nazionale che internazionale da parte di tutti i governi nel rispetto della Risoluzione delle Nazioni Unite. Molti infatti sono i paesi dove manca la volontà politica di promulgare leggi contro questa barbarie perpetrata sulle donne. Il Partito radicale transnazionale e Non c’è pace senza giustizia elogiano l’intervento francese nel Mali a favore dei diritti umani e dello stato di diritto e contro tutte le violazioni del diritto internazionale. Si battono per proposte di legge che aiutino la transizione democratica in Tunisia. Intensa l’attività di Non C’è Pace Senza Giustizia, che il 24 gennaio ha ospitato una tavola rotonda con Mustafa Haid, attivista per i diritti umani a Beirut e fondatore di Dawlaty, innovativa organizzazione siriana che cerca di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla giustizia di transizione come alternativa alle vendette personali, divenute mezzo di riparazione delle violenze subite. L’intervento è stato organizzato nell’ambito di una serie di seminari intitolati Brown Bag Lunch, lezioni mensili tenute da relatori esperti di diritti umani. Haid ha detto che lo Stato siriano viene percepito come una struttura intimidatoria, una istituzione di controllo, di fronte alla quale gli individui sono costretti a soccombere. Dawlaty, che significa “il mio stato”, cerca di recuperare la nozione di stato per i cittadini promuovendone una visione alternativa nella quale le differenze individuali siano accolte e rispettate e dove ci sia spazio per il confronto e il dibattito politico. Meritoria l’opera di Dawlaty, che utilizza come mezzi di promozione e insegnamento cartoni animati, video, poster e graffiti, per raggiungere e coinvolgere tutti i cittadini, inclusi coloro che  vivono in zone belliche, dove l’accesso all’elettricità e a internet è limitato. Ciò che manca è il supporto dell’Unione europea, la cui attenzione è tutta concentrata sulla moneta. Un’Unione assente sulle guerre africane, salvo iniziative autonome di singoli Stati come l’intervento francese nel Mali. Assente su quanto avviene in Siria e nel Medio Oriente. Assolutamente muta sui diritti umani violati e sulla giustizia penale internazionale. Sulle violenze patite da donne e bambine, barbaramente mutilate in quello che hanno di più puro e integro. Un’Unione disattenta sul fatto che negli ultimi anni in Africa i governi scelti democraticamente sono scesi da 24 a 19 e incapace di concepire interventi umanitari in quel continente che non siano di natura militare. Un’Unione insomma cui manca una politica estera, una visione globale dei problemi. A partire da ciò che al giorno d’oggi, in un mondo civile e meno distratto da interessi di tipo esclusivamente finanziario e speculativo, non dovrebbe più essere un problema: il riconoscimento universale dei diritti umani e la messa al bando d’ogni forma di barbarie su donne e bambine.

Gaetano Cellura