di Gaetano Cellura  Dapprima fu Hiroshima. Tre giorni dopo Nagasaki. Ma queste due bombe – le più devastanti della storia – non furono da insegnamento. A deporre le armi per sempre. Valsero il principio opposto: costruirne di più sofisticate e distruttrici. Perché se vuoi la pace devi preparare la guerra. E ancora vi si ricorre a questo antico terribile stupido detto. E alla deterrenza atomica come strumento, ribadito ad nauseam, per evitare la fine del mondo.

Triste e inquieto per quanto accaduto in Giappone quel 6 e quel 9 agosto del 1945, Benedetto Croce scrisse un breve articolo sul Risorgimento, quotidiano di Napoli: La disgregazione dell’atomo e la vita dell’uomo.

Il filosofo se la prese con la scienza, con il suo uso per distruggere l’umanità. E viene facile immaginare cosa direbbe oggi di fronte allo strapotere della tecnoscienza. Alle guerre in corso – in Ucraina e a Gaza – e alle politiche di riarmo dell’Europa.

Per Croce a ben altro doveva guardare l’uomo per la sua rinascita morale: a Gesù e a Socrate; a Omero e a Shakespeare. Allo spirito religioso e all’intelletto che deve sempre guidare il progresso scientifico. Ma chi legge Croce nel nostro tempo? Chi lo ripubblica?

Sua nipote, Benedetta Craveri, figlia di Elena Croce, ha ricordato qualche anno fa l’adorazione di sua madre e delle altre figlie per la figura paterna “cristallizzata” nella sua biblioteca di palazzo Filomarino (dove anche Vico, un altro grande, aveva abitato). Sembravano sempre “incantate dalla chimera del suo pensiero”. E non si rendevano conto del fatto che nessuno più, dagli anni Sessanta, in quest’Italia senza memoria, ne pubblicasse l’opera. Croce era ateo, ma proprio per questo si ricorda con particolare curiosità il suo Perché non possiamo non dirci “cristiani”. Non si era convertito: ha voluto dirci che siamo cristiani perché culturalmente ed essenzialmente cristiana è la nostra civiltà. La civiltà dell’Occidente, figlia del cristianesimo. La più grande rivoluzione della storia. Un pensatore da rileggere e riscoprire in questo nostro tempo di corsa al riarmo e di guerre senza fine.