L’Unità è stata tante cose. Elencarle tutte non si può in una nota. È stato giornale d’idee e lotte, organo di partito, foglio clandestino. La sua testata ti usciva dalla tasca della giacca o dei pantaloni, e diceva quello ch’eri. Politicamente, s’intende. E anche umanamente. L’Unità è stata il perfezionismo di Togliatti in tipografia, i corsivi e i trafiletti in prima pagina di Fortebraccio; è stata festa estiva: di cultura, svago e salsicce arrostite. Per molto tempo la sua festa annuale è diventata anche appuntamento fisso dell’estate licatese alla villa comunale: tra bancarelle di libri, pagine storiche di giornale, bandiere, foto di elChe e di Berlinguer, musica e dibattiti sulla politica nazionale e internazionale. Fossero ancora quelli i tempi, le bombe su Gaza, l’Ordine e il Governo del mondo farebbero parte del nostro dibattito attento, delle nostre riflessioni. E la bandiera della pace sventolerebbe. Invece è scomparsa. Solo pochi pacifisti in circolazione hanno sentito il bisogno in questi giorni turbolenti, per il mondo e il suo Ordine, di manifestare per i bambini di Gaza colpiti dalle bombe e per tutte le altre vittime innocenti di questo infinito conflitto mediorientale.
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Soprattutto l’Unità è stato il giornale fondato da Antonio Gramsci, con quel titoletto del primo numero: “Rincuorare o illudere?”. Anche se molti di noi preferivano Paese Sera, un po’ “più libero” (nel senso di allora, si capisce), più moderno e meno conformista, il giornale del Partito restava guida e simbolo: il giornale da finanziare con l’impegno nelle sezioni e nelle piazze. Il giornale della diffusione domenicale.
Sono passati novant’anni dalla sua fondazione. E l’anniversario coincide purtroppo con il giorno, il 1° agosto, in cui non lo troveremo più in edicola. Sfinito e ucciso dalla crisi dell’editoria. E anche della cultura e della politica. Dimenticato dal Pd renziano. Che solo ora, negli ultimi due giorni prima della sua chiusura, parla d’impegno per salvare la storica testata. È un “rincuorare” o un “illudere”?
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