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pasolini1Quarant’anni fa il presidente Giovanni Leone si concedeva – ora non ricordo più se su Panorama o sul Mondo – le Conversazioni di Ferragosto. Parlava dell’Italia, si capisce. Polemizzava con i grandi d’Europa che ancora la consideravano un paese di serie B; delineava un’immagine del nostro avvenire (squisitamente morale?) su cui attestare “la fiducia del nostro Paese”. Salvo poi ritornare alla realtà vera dell’Italia, dicendo che “nulla vi funziona, non solo praticamente, ma nemmeno, come dire, spiritualmente”.

Pasolini risponde quasi un mese dopo alle parole del Presidente della Repubblica (sul Mondo dell’11 settembre 1975). E se oggi ne parliamo, è anche per ricordare, a distanza di tanti anni, e nel ricordo di un’altra Italia, la piccola relazione tra le Lettere luterane dello scrittore friulano, in cui è possibile ora trovare e rileggere questa Risposta, e il ferragosto degli italiani, il loro raptus da vacanza.

L’eufemismo calcistico – “paese di serie B” – era in fondo prudente, le parole di un politico. L’Italia era peggio per Pasolini: un paese ridicolo e sinistro, i cui uomini di potere erano maschere comiche vagamente imbrattate di sangue, “contaminazioni tra Molière e il Grand Guignol”. Quanto ai suoi cittadini non erano da meno, in preda alla frenesia “più insolente” del ferragosto. A Pasolini, che in quanto scrittore poteva permettersi di non essere prudente, riusciva difficile non ritenerli “spregevoli o comunque colpevolmente incoscienti”. Soprattutto i giovani, quelle sciocche coppiette che si tenevano per mano, con romantica certezza del domani.

Non capivano di essere stati ingannati e di essere le prime vittime del rovesciamento del modo di produzione subìto dall’Italia. Tanto improvviso e violento da rendere mostruosi anche loro, da ridurli a marionette guidate dalla “mano nuova” del benessere in cui illusoriamente credevano di vivere. Il benessere non solo era apparente o comunque in via di esaurimento a metà degli anni settanta, ma aveva fatto saltare, cambiandone la forma, quei loro precedenti valori esistenziali di dignità. La droga in cui molti giovani poi finiranno è il risultato della grande beffa di un progresso precipitoso, in parte finto, in cui avevano visto, creduto di vedere, la “certezza del domani”.

Anche la seconda risposta al presidente Leone, sull’immagine del nostro avvenire da delineare, un’immagine che susciti la fiducia del paese, è collegabile alla “certezza del domani” che ha ingannato i giovani. Lei crede Presidente, gli dice Pasolini, che l’attuale politica italiana, la Democrazia cristiana per prima, siano in grado di offrirci delle certezze?

Leone GiovanniLo scrittore è scettico sulle possibilità del principale partito di governo di fare alcuna previsione sul futuro. Il cinico pragmatismo politico di derivazione cattolica cui s’era affidato sin a quel momento impediva, secondo lui, alla Dc di “interpretare” (si direbbe oggi) l’improvviso nuovo modo di produzione che aveva generato nuove merci e nuova umanità. E in un paese che non aveva conosciuto alcun processo di unificazione: né durante la rivoluzione borghese, né durante quella industriale.

Non voglio trascinarla in una polemica politica, dice Pasolini, rispondendo al terzo punto della Conversazione ferragostana di Leone. Un’Italia in cui non funziona niente. Di chi è la colpa, gli chiede? Non è forse da ricercare nell’assenza di un pensiero politico con cui avete governato il paese dal 1946? Cos’è stato questo pensiero se non la miscela pragmatica delle idee del capitalismo occidentale con i modelli spirituali della Chiesa?

Lei oggi dice, continua lo scrittore, che per ricostruire il paese occorre rifarsi alla tradizione di De Gasperi. Ma quale tradizione?

Da allora avete sempre governato come se l’Italia fosse quella di Giolitti e di Mussolini. E cioè in un quadro ideologico falsamente laico, falsamente tollerante e sostanzialmente clerico-fascista.

Questa, non quella di Leone, era stata l’Italia dal 1945 al 1975. E solo consolidando una coscienza politica, “scandalosa e fuori da ogni conformismo, di ciò che è stato il nostro recente passato” scrive Pasolini, si può delineare l’immagine del nostro avvenire auspicata dal Presidente di allora.

Gaetano Cellura

(Pubblicato originariamente su Ebdomadario, blog della casa editrice prova d’Autore)