Bartolo Cattafi alternava momenti di costante, irrefrenabile produzione poetica ad altri di lungo, decennale silenzio. Ma questa sua inerzia non era disinteresse improvviso per la poesia a cui tornava sempre con rinvigorita carica. Forse i momenti di silenzio, favoriti dal suo starsene in solitudine e completamente appartato dal mondo letterario, gli servivano per la ricerca di nuove tematiche e di una lingua corrispondente. Oppure era la sua natura di spirito libero a estraniarlo da tutto.
Viveva e lavorava a Milano, ma non dimenticava certo la Sicilia, il proprio radicamento. L’isola “sposa di capri e di califfi” su cui soffia, impetuoso e caldo, lo scirocco che “trascina tristi quaglie” e la coltivazione delle agavi aiuta. Non dimenticava la sua Barcellona Pozzo di Gotto dov’è nato il 6 luglio di cent’anni fa. In Sicilia ha avuto le prime frequentazioni poetiche, con i futuristi Jannelli, Balla e Vann’Antò. Ma il merito di Cattafi (o il “demerito”, vista l’emarginazione cui è stato destinato) è di aver seguito una via originalissima, la via del futuro. Per citare il titolo di una sua poesia, fece Tabula rasa d’ogni canone letterario. Il che lo rese un poeta indipendente e autonomo. Un poeta emarginabile. E fino al punto d’essere escluso ingiustamente dalle antologie.
Giunto all’osso, Cattafi buttava fuori la vita, l’anima. La sua poesia non è ricerca delle cose, ma dell’anima delle cose “giorno per giorno/sospinte in quella zona/con alto livello di freschezza”. La sua poesia è movimento verso l’altrove temporale, verso quel luogo – zona o mare – “lampeggiante e preciso/fra contorni nebbiosi” (poesia Moto a luogo): e da esprimere con parole innovative, essenziali, le parole poetiche del futuro. La Linea di costa, titolo di un’altra sua poesia, la linea cioè lungo la quale si muovono in lui, insieme, ispirazione e vita non la troviamo segnata in nessuna mappa. Perché attraversa soprattutto la sua anima di poeta, “divide il mare dalla terra” ed è come filo teso che ora “s’accende” e vibra ai venti; altre volte s’allenta, e “come arco flaccido sbatacchia” a destra e a manca. In questo modo mutando “l’assetto delle cose: spicchi di terra in mare”, per dirne una; o “mezze lune di mare in terra”, l’alfa in omega per dirne altre. Metafore delle fasi della vita, scarnificata come la lingua poetica, ridotta all’osso, o di quelle dell’anima, o delle fasi dell’anima delle cose.
L’osso, l’anima è considerata la sua raccolta poetica più importante, uscita nel lontano 1964. Ma ora integralmente riproposta a cura di Diego Bertelli che già tre anni orsono si era occupato della pubblicazione dell’intera opera del poeta siciliano. Preziosa iniziativa per spolverarlo dall’immeritato oblio. E inaspettato dono agli adoratori della poesia.
Gaetano Cellura