Il servizio pubblicato ieri dal quotidiano La Sicilia su come sono ridotte le strade d’accesso alle nostre spiagge più belle non è solo denuncia giornalistica, focus sullo stato d’una città che cade a pezzi, si sgretola, si sfascia e proprio nei suoi luoghi (teoricamente, possiamo ora ben dirlo) di maggiore attrattiva. Non è solo la brutta fotografia, e purtroppo di un album pieno di altre pubbliche gravi incurie, d’una città nel complesso tra le più belle della Sicilia. Bella per i monumenti, le piazze, i corsi, i quartieri antichi, la sua storia. Bella per le coste, le spiagge, il suo mare. I luoghi della ricchezza possibile, del tanto invocato decollo turistico, mortificati dalla miserabile realtà in cui oggi si trovano. Una realtà che scoraggia ambizioni, progetti di rinascita e spegne persino i sogni e le illusioni dei cittadini più volenterosi. È qualcosa di più, dicevamo, d’un servizio di denuncia, del dovere di cronaca per porre in risalto le cose che non vanno, trascurate da decenni; e dell’urgenza di porvi rimedio in un momento già cruciale della stagione estiva che, come altre volte, ci coglie in ritardo e del tutto impreparati. È un vero e proprio atto d’accusa su decenni di malgoverno delle amministrazioni di destra a Licata, ad Agrigento, in Sicilia. Atto d’accusa alle nostre scelte elettorali, alla nostra scarsa cultura politica, alla nostra diffidente propensione al cambiamento, all’alternanza di uomini e di classi dirigenti nei posti chiave del governo. Ma anche alla nostra capacità di essere cittadini migliori, più dotati di senso civico, di maggiore attenzione all’interesse generale e di farci noi stessi – con responsabilità e impegno – classe dirigente: d’una città, d’una provincia e d’una regione la cui quotidiana decadenza (per decoro, speculazione edilizia, qualità della vita,rispetto della natura e del paesaggio) pure ci è sempre stata visibile. A scanso di equivoci, dico che non si tratta di un problema di destra o di sinistra, come facilmente si potrebbe pur pensare. L’opposizione, vera o finta, ha le sue colpe e nessuno vuol negarle. Scarsa denuncia politica. Nessuna attenzione per i problemi veri, l’assalto speculativo alle coste, l’abusivismo, le crepe e lo smottamento della città e del suo dimenticato litorale. Certo, le maggiori responsabilità sono di chi ha governato Licata riducendola in questo stato. E si capisce che il discorso va esteso alle tante altre cose impresentabili. Non solo alle vie d’accesso al mare – dissestate, impercorribili e pure pericolose per le persone e i mezzi di trasporto. Che cos’è Licata oggi? Il risultato di soldi spesi male. O spesi per cose inutili. O di soldi non proprio mai arrivati. Un po’ per l’inesistenza di un’adeguata progettualità di governo. Un po’ perché abbiamo sempre affidato al politico di fuori, alla politica clientelare e solo a quella le nostre sorti. Ma è anche, e forse semplicemente, quel che – da cittadini incuranti – ne abbiamo fatto. E allora, essendone chi più chi meno responsabili, proviamo a rimboccarci le maniche per limitare i danni economici e salvare in qualche modo la stagione balneare. La politica per prima. Non dico di sistemare le strade di accesso alle spiagge, perché non c’è il tempo. Ma almeno di eliminare, se ci si riesce, le situazioni di pericolo.
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