di Gaetano Cellura Gaputh (Postdam) Ѐ il 30 luglio del 1932. Lo scienziato Albert Einstein scrive al medico viennese ponendogli questa domanda urgente. “C’è un modo – gli chiede – per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra?”
Manca poco, solo un anno, alla presa del potere del nazismo in Germania. E già si vedono le avvisaglie della forza bruta che travolgerà lo spirito europeo. Einstein in verità avrebbe una risposta: quella di un’autorità sovranazionale – legislativa e giudiziaria – creata dagli stati con il compito di “comporre tutti i conflitti che sorgano tra di loro”. In pratica una nuova – e rinvigorita – Società delle Nazioni. Il cui rischio, tuttavia, è di finire come la vecchia. Visto che nessuno stato vuole ancora rinunciare a una sua, sia pur piccola, parte di sovranità. E allora Einstein chiede a Freud se “alla luce delle Sue più recenti scoperte”, siano possibili altri metodi, “validissimi”, per salvaguardare la pace mondiale.
La risposta del padre della psicanalisi è piuttosto articolata e lunga. E più volte, quasi scusandosi, invita Einstein a seguirlo con pazienza sino alla fine della lettera. Lettera che possiamo così riassumere. Per Freud nell’animo umano agiscono, hanno sempre agito due pulsioni contrastanti: eros e thanatos, amore e morte; amore e odio. Finché la seconda pulsione prevarrà sulla prima – e così è sempre stato -, non ci sarà spazio per la forza della ragione e per l’affermazione nel mondo delle idee di pace. Contrario alla Grande Guerra, Freud aveva accusato la scienza di essersi sottomessa ai costruttori di armi, di aver messo le proprie conoscenze al loro servizio.
Ma pensa a questo l’uomo che combatte in Ucraina, l’uomo che non sa porre fine all’eterno conflitto nel Medio Oriente? Pensavano a questo gli uomini sui campi di battaglia delle due devastanti guerre mondiali?
Da che mondo è mondo, gli uomini si sono scannati a vicenda. E la storia è stata un immane carnaio. Eppure, come giustamente Einstein dice nella sua lettera a Freud, pochi sono quelli che decidono le guerre e tanti, tantissimi quelli che le combattono e vi muoiono. Come è possibile che i tanti, mandati a combattere, non trovino la forza, non l’abbiano trovata di opporsi ai pochi che li hanno obbligati?
Forse la risposta ce la dà Platone sin dai tempi antichi. L’uomo porta il conflitto, la stasis dentro di sé. E se vuole impedire le guerre dovrà prima liberarsi del proprio conflitto interiore. Pacificare cioè le proprie pulsioni. Morto nel 1939, Freud non vide gli orrori della Seconda guerra mondiale; Einstein sì (nel 1999 verrà proclamato “uomo del secolo”). La loro corrispondenza è utile e illuminante ancor oggi. Oggi che si spara persino contro i caschi blu. E vediamo l’Onu impotente, come la Società delle Nazioni negli anni Trenta.