Adriano Sofri, cui non sfugge quanto accade nei luoghi di pena, segnala nella sua rubrica Piccola Posta (Il Foglio dell’11 gennaio) il decesso nel carcere di Alessandria di un detenuto di sessantacinque anni. Vi era entrato appena due giorni prima per scontarvi quattro mesi di reclusione. I fatti da cui è scaturita la condanna risalgono al 2008. L’uomo era stato fermato dalla polizia municipale dopo un tamponamento stradale, ma si era rifiutato di sottoporsi all’alcoltest. Aveva chiesto di poter scontare la pena ai domiciliari, come prevede la legge “svuota carceri”. Ma la sua istanza non è stata accolta per l’ “inidoneità” della sua abitazione e perché il Sert per abuso d’alcol non ha un programma ambulatoriale. Strano caso. Avvenuto qualche giorno prima della sentenza epocale della Corte Europea sulle condizioni degradanti einumane delle carceri italiane. Sovraffollate, prive di acqua calda, con un’illuminazione insufficiente, con detenuti rinchiusi per gruppi di tre in celle di nove metri quadrati. L’Italia dovrà rispettare la sentenza risarcendo con 100 mila euro perdanni morali sette detenuti nelle carceri di Busto Arsizio e di Piacenza. Pensate, sono inidonei e inadeguati gli istituti di pena italiani, abbiamo il caso limite (come scrive il manifesto) del carcere Mistretta di Messina, dove i detenuti sono il doppio di quanti ne può contenere, e si arriva all’assurdo nel nostro paese di rigettare un’istanza di detenzione domiciliare per “mancanza di idoneità del domicilio”. Né il governo Berlusconi, con Alfano guardasigilli, né il governo Monti hanno fatto alcunché per le carceri. La Corte Europea dà ora un anno di tempo al governo italiano per risolvere ilproblema del sovraffollamento ed evitare altre sanzioni. Tra talk show di finti duelli, nella vuota chiacchiera politica, speriamo qualcuno ricordi in questa campagna elettorale che, per le condizioni disumane delle sue carceri, l’Italia è fuoridal diritto internazionale. Parlarne non porta voti. Ma è un fatto di civiltà. Un fatto di umanità.
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