di Gaetano Cellura C’era più coscienza, politica e civile, negli anni Cinquanta e Sessanta, quando vivevamo il tempo delle botti dell’acqua o del treno cisterna. Più coscienza rispetto ad oggi, in cui non più le botti ma le autobotti s’incrociano spesso nelle nostre strade, e cariche d’acqua di non sempre chiara e sicura provenienza. In realtà le autobotti non ci hanno mai lasciato, neppure nei momenti in cui abbiamo pensato come risolto, a Licata, il problema atavico dell’acqua. Perché un piccolo guasto nelle condotte, un improvviso inconveniente tecnico, sia con la gestione privata del servizio che con quella pubblica, si verificava frequentemente, ci riportava agli anni di maggiore crisi. E il ricorso alle autobotti di nuovo necessario: per una città che alla mancanza d’acqua o al suo razionamento, alle varie rotture come ai furti lungo le condotte si era nel frattempo rassegnata. Rimedio all’emergenza idrica, le autobotti o una lunga fila di bidoni all’abbeveratoio.
Paradossalmente eravamo più cittadini che popolo negli anni Sessanta. Al tempo del Comitato. Ultimo atto della città rivoluzionaria di Giuseppe Peritore. Allorché alla battaglia per l’acqua, nostro bene prezioso e fondamento della creazione, abbiamo saputo accompagnare quelle per il lavoro e le terre, contro l’emigrazione di massa. Adesso siamo il contrario: più popolo che cittadini consapevoli dei propri diritti.
E non ci consoli il fatto che ad essere toccata dal grave problema idrico sia ora con noi l’intera Sicilia. A causa della siccità, ci dicono. Ciò che sappiamo con certezza è che l’acqua, bene pubblico, è da decenni ormai un affare privato. Un affare di pochi. E noi non sappiamo reagire, rivendicare i nostri diritti come negli anni Sessanta.
Quanto lo Stato si sia dimenticato dell’acqua e quanto la politica non tuteli i diritti dei cittadini, vessati dal caro bollette e da una distribuzione idrica sempre più saltuaria e carente – problema che si aggraverà durante l’estate – lo dimostra il fatto che soltanto 4,3 miliardi del Pnrr sono stati destinati all’intero comparto nazionale di reti idriche e depurazione: e ce ne vorrebbero invece 60 di miliardi per ammodernare le sole conduzioni civili. Per non parlare poi della dispersione dell’acqua di cui l’Italia detiene in Europa il non certo invidiabile primato.
L’acqua è vita, sopravvivenza, lavoro. L’uomo è fatto d’acqua nella stessa percentuale della superficie terrestre. Ma viviamo un tempo di passioni tristi. Senza coscienza del diritto, dei diritti reclamati più di cinquant’anni fa. Rivendichiamo la messa in funzione dei vecchi dissalatori e l’istallazione di uno nuovo a Licata. Ma così, tanto per parlare. Sappiamo che il dissalatore costa e non può essere la soluzione immediata al problema della siccità. Nello stesso tempo non vediamo il vero problema: quello di esserci fidati per decenni di una classe politica regionale che definire inadeguata è poco.