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Nel 2007 la cerimonia con D’Alema, poi il nulla

Due aerei sono atterrati su questa pista: l’Airbus 319 dell’allora premier D’Alema, arrivato nell’aprile del 2007 per intitolare lo scalo a Pio La Torre, e un modellino telecomandato fatto volare per protesta dal comitato proapertura due settimane fa.

Poi più nulla sull’asfalto intonso dell’aeroporto di Comiso, costruito al posto dell’ex base Nato dove gli americani negli anni Ottanta installarono una ventina di missili nucleari Cruise ai quali La Torre si oppose.

Niente di niente, se si escludono – ma non hanno ali – le Ferrari che il sindaco Giuseppe Alfano fece rombare l’anno scorso come su un circuito di Formula 1, in un diluvio di polemiche. Per il resto l’aeroporto di Comiso è il fantasma dei fantasmi. Aerostazione, piste, piazzole, torre di controllo. Tutto pronto, anche se non ancora collaudato. Ma neanche l’ombra dei 500 mila passeggeri che da qui, si calcola, transiterebbero ogni anno.

A dispetto dei 36 milioni di fondi europei e del Cipe spesi per la costruzione. E degli appelli, delle mobilitazioni, degli scioperi della fame di amministratori e politici.

Oggi l’iniziativa più clamorosa, con l’ex sindaco Pippo Digiacomo (adesso parlamentare Pd all’Assemblea regionale) che guida l’occupazione del terminal Partenze dell’Alitalia a Fiumicino. Qui a Comiso, alle sette di sera di ieri, la partenza dei pullman alla volta di Roma, con centinaia di manifestanti.

Digiacomo guida il corteo: «Partiamo non per chiedere elemosine – si accalora – ma perché ci venga riconosciuto il diritto di usufruire di un’infrastruttura vitale per la nostra terra. Una vicenda che per noi era un orgoglio è stata trasformata in una vergogna nazionale».

Chissà se tutto questo servirà a convincere l’Enav (controllato interamente dal ministero dell’Economia) ad aprire la cassa per garantire i due milioni di euro l’anno necessari a pagare i controllori di volo.

Questo il problema che finora ha bloccato l’inaugurazione dell’aeroporto tra le colline del Ragusano: la Sicilia del barocco e dell’agricoltura di qualità che sogna di moltiplicare i turisti grazie a un gioiellino che fa gola a Ryanair. Soldi che mancano perché lo Stato non vuole riconoscere a Comiso il rango di scalo pubblico.

A costruirlo, con i soldi dei contribuenti di tutta Europa, è stato il Comune, che si è lanciato nell’iniziativa quando D’Alema chiese al sindaco Digiacomo di ospitare seimila kosovari nell’ex base Nato.

Il progetto andò avanti, dal finanziamento alla costruzione, fino alla costituzione della società di gestione da parte del Comune e di due aziende. «Vadano pure avanti – disse allora l’avvocatura dello Stato all’Enac – ma sappiano che lo scalo sarà considerato privato».

Ora i nodi sono venuti al pettine. Ora che, sganciati i 60 vigili del fuoco in sovrannumero in caserma, lo Stato si è impuntato sui controllori di volo. Riunioni, confronti, calcoli. Finora inutili. A decollare sono state solo due inchieste: una penale e una per danno erariale.

Laura Anello

La Stampa, 30 giugno 2012