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di Gaetano Cellura  Molti anni dopo e poco prima di morire, Anna Achmatova avrebbe confessato in un suo scritto, Le rose di Modigliani, cosa l’aveva immediatamente colpita dell’artista italiano: l’aveva colpita la luce di cui splendeva. Si videro per la prima volta al Caffè La Rotonde di Parigi. Lei, bellissima, era in luna di miele con il primo marito. Lui un bohemien in cerca di fortuna e riconoscimento. Gli bastò vederla, quel giorno di fine giugno, per ritrarne in uno schizzo a matita la finezza e l’eleganza dei lineamenti. Fu un incontro breve, e di poche parole, cui ne seguì qualche altro. Ma si scrissero molto in quel 1910: tornata a San Pietroburgo, Amedeo la tempestò di lettere. Lei gli rispose e, trascorso un anno, lo raggiunse. Per vivere insieme giornate indimenticabili.

Nei giorni di pioggia passeggiavano per le strade di Parigi. Sotto il grande ombrello nero di Modigliani si poteva vederli seduti sulle panchine dei Giardini del Lussemburgo mentre leggevano ad alta voce le poesie dei simbolisti francesi. Il pittore – racconta l’Achmatova – non si lamentava di nulla. Né della propria povertà, né dello scarso successo artistico. Non conosceva nessuno e nessuno salutava durante le loro passeggiate. Sempre cortese e di spirito profondo, parlava poco di “cose terrestri”. Conosceva bene la città e una delle loro mete era il reparto egizio del Louvre. Tutto il resto per Modigliani non meritava attenzione. Ma rispetto agli incontri dell’anno prima la poetessa russa lo ritrovò cambiato: più magro e incupito, “circondato da un compatto anello di solitudine”. Nessun odore di vino però proveniva da lui né Anna lo vide mai ubriaco. Probabilmente Amedeo Clemente Modigliani (più grande di lei di cinque anni) ha cominciato a bere e a far uso di hashish negli anni successivi, quando la loro storia era finita. Le fece sedici disegni e una scultura, di cui sopravvive poco o niente. La poesia dell’Achmatova 1911 è forse l’unica traccia del loro ultimo incontro: Modigliani ubriacato “d’agra tristezza”.

“Come dimenticare? Uscì vacillando,/sulla bocca una smorfia di dolore/… corsi dietro di lui fino al portone./Soffocando, gridai: “Ѐ stato tutto/uno scherzo. Muoio se te ne vai”./Lui sorrise calmo, crudele/e mi disse: “Non startene al vento”.

Non si videro più. Lei ritornò in Russia. Lui le scrisse ancora una lettera: “Sei in me come un’ossessione”. Poi ognuno prese la propria strada. Il pittore non visse a lungo. La poetessa sì. Il tempo di sopravvivere al salice piangente che, sin dall’infanzia, colorava d’argento la sua insonnia. Ma il regime sovietico le rovinò l’esistenza. Il marito giustiziato come cospiratore, il figlio detenuto per diciassette anni in un gulag e lei, che non si era uniformata all’arte di regime, obbligata a una vita da musa in gramaglie (come la definì Brodskij) della letteratura russa.

Quando poté tornare a Parigi ripassava per le strade in cui aveva passeggiato con Modigliani. E lo rivedeva, ombra notturna di luce divina, mentre indugiava sotto la sua finestra. Quante volte era stato lì con lei!

Il poco che rimane di questa storia struggente è legato soltanto ai ricordi della poetessa. Molto bello quello del mazzo di rose che Anna gli portò un giorno del 1911. Modigliani non era nel suo atelier. La porta era chiusa e lei gettò le rose, una alla volta, attraverso la finestra. Il pittore le trovò “sparse per terra cosi bene” che stentò a credere che lei non avesse la chiave. Come scrisse l’Achmatova, avevano vissuto senza saperlo “l’ora lieve e luminosa che precede l’aurora”. L’aurora della vita.