Questa mia per denunciare lo stato di abbandono e di degrado totale, anche per l’assenza di custodia e di una recinzione adeguata, in cui si trova l’importante area archeologica di Monte Sant’Angelo di Licata che dovrebbe essere considerata un valore aggiunto per la storia della città e per la sua promozione turistica. Infatti se le domus sono protette dagli agenti atmosferici da una serie di tettoie che meriterebbero un minimo di manutenzione periodica, non sono affatto protette dai vandali, dagli escursionisti, dalle scolaresche e dai visitatori ai quali dalle “guide” di qualche associazione locale è consentito entrare nel perimetro delle antiche abitazioni e quindi calpestarne le pavimentazioni e quelle poche quadrelle d’argilla salvatesi dalla generale distruzione che ora risultano in gran parte frantumate. L’area archeologica e tutte quante le domus a sud e a nord, accessibile 24 ore su 24 ore, sono letteralmente invase da rigogliose erbacce, gli intonaci delle pareti sono fessurati e cadenti e soggetti anche alla predazione, come souvenir, da parte dei visitatori, la stabilità dei muretti divisori dei vari ambienti è molto precaria,
Dei tanti cartelli illustrativi collocati all’interno dell’area archeologica ne esistono solo due, uno buttato a terra e l’altro per nulla leggibile, di tutti gli altri esistono solo i supporti metallici. I vandali possono agire indisturbati in qualsiasi ora del giorno. La furia distruttrice di costoro non ha risparmiato una delle due dimore preesistenti all’interno dell’area archeologica espropriata e completamente ristrutturate e recuperate con l’intento forse di adibirle a sede di foresteria per gli archeologici. Gli infissi di quella immediatamente vicina al cimitero abbisognano di manutenzione. La porta d’ingresso è gonfiata e sicuramente soggetta ad un fallito tentativo di scasso. Quella invece
E’ una vergogna che tanti soldi pubblici siano stati utilizzati per portare alla luce tanti importanti reperti archeologici per poi lasciare che vengano distrutti. La responsabilità della conservazione, della tutela e della salvaguardia dell’area archeologica di Licata è in capo alla Soprintendenza ai BB.CC.AA di Agrigento che dà la chiara impressione di essere distratta o comunque disattenta e non interessata a questo importante sito archeologico. Questo negligente atteggiamento è dopotutto dimostrato da altri fatti connessi direttamente o indirettamente alla salvaguardia delle domus di Monte Sant’Angelo. Infatti, nonostante il problema sia stato più volte attenzionato, la Soprintendenza non è ancora intervenuta per garantire l’agibilità del camino di ronda del Castel Sant’Angelo impedito ai visitatori a seguito del crollo
Un andazzo questo che di mostra il poco interesse per i beni archeologici licatesi e conferma il degrado generale che esiste nell’ambito dell’intero settore di Beni Culturali siciliani dove operano un esercito di dirigenti, tecnici e un numero sconsiderato di custodi per avere i risultati che abbiamo.
Tutto ciò premesso si chiede quanto segue: di predisporre un adeguato programma di periodici interventi di manutenzione a tutela delle domus di monte Sant’Angelo, di far ripulire dalle erbacce sia l’area archeologica a sud e a nord di Monte Sant’Angelo che di Via Santa Maria, di dotare l’area delle domus di una recinzione robusta e chiusa da cancelli, di far ripulire il fabbricato-foresteria lato chiesa di Pompei, ripristinare gli infissi e la porta di accesso e di assicurare i cancelli di questo fabbricato e quello di accesso a questa area con adeguati lucchetti di sicurezza, di ripristinare i cartelli illustrativi nell’area delle domus, di ricomporre i corpi luminosi della strada di accesso al castello e sistemare il fondo della stessa in alcune parti ormai privo di acciottolato, di ripristinare l’agibilità nel camino di ronda del castello, di sollecitare con urgenza la sistemazione dei reperti nelle vetrine del museo, di dare precise indicazioni e prescrizioni alle associazioni locali che guidano visitatori e scolaresche nell’area archeologica perché impediscano l’accesso nei vani delle domus, di non spendere ulteriori fondi pubblici per altri scavi se non si ha la capacità di custodire e proteggere i resti archeologici già portati alla luce.
Calogero Carità