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impastatoLa voce di Giovanni Impastato si leva un’altra volta per difendere la memoria del fratello. Era già successo nel 2011 con la denuncia delle condizioni  vergognose del casolare di contrada Feudo a Cinisi dove Peppino Impastato fu ucciso dalla mafia. Il suo corpo venne poi trasportato sulla ferrovia che collega Palermo a Trapani e fatto esplodere per simulare un attentato terroristico e sviare le indagini. Allora l’attenzione dell’opinione pubblica era tutta concentrata sul ritrovamento del cadavere di Aldo Moro, sulla minaccia che il terrorismo politico costituiva per il paese: e così la morte di quel giovane di trent’anni che combatteva la mafia – con le armi del coraggio, dell’ironia, dello scherno – passò quasi inosservata. Dalla radio libera del paese Peppino Impastato denunciava e prendeva in giro i mafiosi. Anche il potente Gaetano Badalamenti, che chiamava “Tano Seduto”.

Le parole del suo Inno alla Bellezza sono diventate un video spot pubblicitario di 31 secondi per la nuova linea di occhiali della Glassing. Di qui la reazione di Giovanni Impastato, che ha dichiarato a Repubblica (articolo di Salvo Palazzolo): “Peppino era contro il consumismo: non può essere utilizzato come testimonial che invita ad acquistare qualcosa”. Nel suo Inno il giovane attivista antimafia chiedeva che venisse insegnata a tutti la bellezza come curiosità, stupore. E come “arma contro la paura, l’omertà, la rassegnazione”. Trentacinque anni sono trascorsi dalla sua uccisione e ben ventiquattro ce ne sono voluti per condannarne Gaetano Badalamenti come mandante.

Gaetano Cellura

Dello stesso autore leggi pure: Il casolare della vergogna su www.grandangoloagrigento.it e in La trattativa e altri misteri