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Grande assente a Licata nel dibattito politico di questa appena finita campagna elettorale il tema della democrazia. Tema su cui martelliamo, inascoltati, da quattro anni. Ma c’è stato un dibattito politico? C’è stata campagna elettorale nella nostra città? Le piazze vuote (solo Grillo le ha riempite in Sicilia), le adunanze di partito o di corrente organizzate in locali chiusi lontano da possibili contestazioni e ridotte a conventicole sono state il segnale marcato di una fuga dalla realtà e dai disastri che la cattiva politica e il malgoverno a tutti i livelli, i loro interpreti e protagonisti, sempre gli stessi, e sempre sfacciatamente in campo a chieder voti, hanno provocato alla regione, alla città, al Paese in generale. Ma quali contestazioni temevano nella città vuota e rassegnata, nelle regione irredimibile dove il cambiamento è stato storicamente solo finzione e inganno? Di cosa avevano paura gli autori del disastro politico, dello sfascio regionale e cittadino? Licata accetta tutto passivamente. Anche una giunta senza consiglio comunale. Al netto di poche, lontane eccezioni, l’apatia è (ed è stata) la sua vera cifra politica, il suo modo d’essere lungo i decenni. I candidati vecchi e nuovi avrebbero anche potuto parlare in piazza, tranquillamente. Nessuno li avrebbe contestati. Ma se non l’hanno fatto, non è stato certo per paura. Per paura del cittadino licatese. Dell’elettore licatese. Ma perché sapevano che oggi riempire una piazza è difficile: e ne sa qualcosa, più di tutti, Gianfranco Miccichè, perduto nel vuoto della piazza di Santa Caterina Villarmosa, teatro un tempo della rivolta dei Fasci Siciliani, paese che trovi nel romanzo storico di Pirandello I vecchi e i giovani. Loro hanno sempre il termometro della situazione a portata di mano, avvertono l’umore, il distacco e il disgusto dei cittadini, la protesta strisciante e silenziosa che si manifesta prima con l’assenza, l’apatia, e poi con  l’astensionismo il giorno del voto. Hanno capito che (forse) anche Licata ha capito. Solo che manifesta, non con la ribellione, con la contestazione aperta che molti eterni candidati meritano ampiamente, ma con il silenzio, il suo tenersi lontana dalle adunanze dei partiti, il mugugno privato d’uno stato d’animo che non sa farsi coscienza politica e che trova sfogo o nell’astensionismo oppure nel voto a Grillo. Che, a questo punto, al punto in cui siamo ridotti, al punto in cui Licata, la Sicilia, l’Italia dell’austerità e del rigore “montiano” senza crescita sono ridotte sembra pure giusto. Le riunioni ristrette, le conventicole politiche di questi giorni sono frutto dunque non del timore d’una città che si ribella e contesta i responsabili dello sfascio generale, ma del ritrovarsi anche a Licata con poche persone attorno e di misurare la propria debolezza elettorale. Una debolezza che è nei fatti prima che nei gesti, nel cuore di molti cittadini. E che è nelle piazze piene attorno a Grillo e al suo giovane, innovativo movimento. Di profondamente spiacevole rimane il fatto che nemmeno nella compagna elettorale, nelle parole dei candidati locali, nelle parole dello stesso Crocetta, venuto per il comizio di notte, ha trovato spazio il tema della democrazia dimezzata a Licata. È possibile che nessuno lo ritiene così importante? È possibile che da quattro anni, priva di consiglio comunale, nessuno (dal candidato locale al candidato governatore) si sia accorto, si accorga che Licata è un caso nazionale tra i più negativi  per le regole sacre della democrazia e del suo buon funzionamento? Tra le tante nostre apatie e insensibilità, questa rimane la più grave.

Gaetano Cellura