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A vino nuovo otri nuovi. Non basta, quindi, rinnovare i soggetti politici siciliani se le idee che i nuovi, o presunti tali, porteranno avanti saranno sempre le stesse. Occorre anche un rinnovamento radicale dei programmi e degli approcci della nuova classe politica che le urne ci consegnerà. Ebbene, nel tentativo di fornire qualche input alla futura classe dirigente dell’Isola ci sembra utile provare a seguire le tracce del risparmio delle famiglie siciliane, ossia quella parte di reddito percepito e non destinato ai consumi ma accantonato. Una siffatta indagine ci conduce alla conclusione che gran parte di questo finisce al nord. In particolare, il risparmio segue tre strade: l’investimento finanziario, con finalità di accrescimento del capitale detenuto; i depositi bancari, con finalità di conservazione del gruzzoletto accantonato; la stipula di contratti assicurativi, obbligatori o volontari (anche se non tutti i prodotti assicurativi possono essere classificati come risparmio). Già in precedenza su questo giornale ci siamo occupati delle prime due forme di risparmio, ossia quello finanziario e quello bancario, giungendo alla conclusione che questo si volatilizza, abbandonando l’isola e foraggiando l’economia centro settentrionale.  

Riepilogando, sul piano dell’investimento finanziario si è già dimostrato come sia sufficiente un solo ed imbarazzante dato per rendere lapalissiano questo fenomeno: nessuna società siciliana è quotata nella Borsa di Milano. Da ciò discende che chi intende compiere un investimento finanziario non ha altra strada che comprare azioni di società non siciliane, rafforzandone la patrimonializzazione, a discapito dei competitors siciliani. Volendo usare una metafora è un po’ come quando nessuna squadra siciliana di calcio giocava in serie A e quindi il tifo dei siciliani era costretto ad incanalarsi verso squadre non isolane. Se le istituzioni riuscissero a programmare una seria politica industriale volta ad incrementare il numero delle società siciliane quotate in Borsa potremmo intercettare una buona fetta di risparmio siciliano da destinare al finanziamento delle imprese locali, oltre a poter attrarre risparmio di altre parti d’Italia e del mondo.

Sul piano del risparmio bancario abbiamo invece già visto come le banche non regionali svolgano un’assoluta supremazia sul mercato bancario siciliano, rendendosi quindi tra i principali responsabili del cattivo funzionamento del sistema creditizio nei confronti soprattutto del mondo imprenditoriale. Rimane un ultimo segmento in cui confluisce il risparmio delle famiglie ed è quello assicurativo. Ebbene qui il dato è ancora più sconfortante di quello bancario in quanto, dai dati pubblicati nella Relazione sull’attività di vigilanza svolta dall’ISVAP nell’anno 2011, risultano ben 144 compagnie assicuratrici operanti in Italia ma di queste nessuna è siciliana. La causa di questa grave lacuna è da individuare, oltre che nella proverbiale indolenza del ceto imprenditoriale siciliano, anche nella presenza di forti barriere di ingresso nel settore assicurativo, come la necessità di disporre di un elevato capitale minimo iniziale da parte delle compagnie assicurative che intendono chiedere l’autorizzazione all’esercizio all’ISVAP. A ciò si aggiunga che l’attività assicurativa richiede un elevato know-how che probabilmente intimorisce molti potenziali imprenditori. Per superare questo inconveniente la Regione dovrebbe farsi carico di stimolare l’ingresso dell’imprenditoria siciliana in mercati, come quello assicurativo, in cui esistono forti barriere di ingresso e che altrimenti rimarrebbero ineluttabilmente appannaggio dei giganti corporativi non isolani. Ed invero, considerando che secondo i dati Istat del consumo delle famiglie 2011 ogni famiglia italiana in media consuma 2440 euro mensili (ma il dato delle regioni meridionali è sensibilmente inferiore), di cui l’8% viene destinato alle spese assicurative, ci rendiamo conto come una quota consistente del consumo delle famiglie siciliane viene dirottato fuori dall’isola.
In breve, attraverso il canale finanziario, quello bancario e quello assicurativo ogni giorno una siringa viene affondata nel tessuto economico della Sicilia per compiere un prelievo di risparmio delle famiglie siciliane. Contestualmente ogni mattina la stessa siringa viene immessa nel corpo dell’Italia centrosettentrionale per iniettare le risorse prelevate ai siciliani. E tutto ciò nell’indifferenza generale. La fragilità dell’economia del Mezzogiorno viene spacciata, dagli opinion leader settentrionali, come un elemento di debolezza del sistema Italia ma in realtà rappresenta proprio l’elemento di forza del sistema produttivo settentrionale. Un’area geografica a forte vocazione produttiva necessita di un’area geografica vassalla che non produce niente e che quindi possa rappresentare uno sbocco per la produzione della prima. Il virtuoso ama circondarsi di soggetti deboli perché in tal modo vengono esaltate le proprie capacità. Se la Sicilia  intende tornare ai fasti di un passato ormai troppo lontano dovrà riuscire ad appropriarsi della propria autonomia, ma non di quella statutaria o amministrativa (che ce l’ha già e finora è stata soltanto causa di tanti sprechi) ma dell’autonomia produttiva, finanziaria ed economica. Soltanto in tal modo si riuscirebbe a spezzare il giogo dei poteri forti del nord che vogliono una Sicilia con il capo chino ad espiare le proprie colpe piuttosto che una Regione in grado di guardare a testa alta verso il proprio futuro.

Gioacchino Amato  ( articolo pubblicato sul Quotidiano di Sicilia del  26 settembre 2012)