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Ma interessa ancora a qualcuno dei nuovi morti in mare e divorati dagli squali a est di Tripoli? Interessa a qualcuno dell’ultimo filmato sui migranti marocchini da più di sei mesi rinchiusi e stipati nelle celle di Zuara? A qualcuno importa dell’idea di “campo”, propria degli anni trenta e quaranta, in cui relegare il diverso (l’ebreo soprattutto) fino all’annichilimento fisico?
I morti in mare, come i prigionieri nelle fetide baracche, richiamano proprio il “campo” (di lavoro o di sterminio), i campi di Buchenwald o di Auschwitz, la concezione nazista della vita e della storia, il tutto accompagnato dal forte rigurgito di destra che attraversa l’Europa.
Un po’ se lo merita questo rigurgito l’Europa del grande capitale finanziario – spacciata per comunità o per sogno d’unione in divenire – e così priva di memoria storica, così lontana dai suoi cittadini, dal suo popolo sofferente a cui chiede solo sacrifici e a cui impone regole, odiosi trattati, ai loro governi parametri da non sforare.
E anche questo è nazismo. Camicia bruna.
Se una nomenclatura di banche e commissioni, di poteri non eletti, mostrano il loro vero volto oppressivo, hanno fatto dell’Unione un colossale business finanziario; se accanto alla questione economica prende piede anche quella identitaria, al grido di fuori lo straniero, vogliamo ancora chiamarla democrazia quella del Vecchio Continente?
L’idea di “campo” in cui rinchiudere, relegare, far marcire; in cui stipare migranti come reietti della condizione umana è la più pericolosa. Perché ci porta indietro ed evoca fantasmi mai scomparsi del tutto. E prende piede questa idea grazie alla debolezza (anche culturale, non solo politica) delle socialdemocrazie – troppo distratte e lontane, e ormai da troppo tempo, dai suoi veri doveri, incapaci di cogliere e interpretare su basi nuove le disuguaglianze prodotte dalla globalizzazione. Globalizzazione di capitali e persone in carne e ossa.
C’è un campo (reale) in Libia in cui ammassare migranti. Ce n’è un altro in Europa (non tanto figurato) in cui vivono i nostri nuovi poveri – affamati, esclusi o reclusi dal liberismo degli ultimi decenni.

Gaetano Cellura