Pubblicità

Perché obbligarla alla chiusura? È una radio che dà spazio a tutte le opinioni, che racconta la politica parlamentare attraverso la voce di deputati e senatori, che apre i propri microfoni a tutto quanto è politica nel mondo, che ha trasmesso in diretta, nei suoi quarantaquattro anni di vita, i congressi dei partiti, i processi più importanti nelle aule di giustizia e persino le riunioni del Consiglio superiore della magistratura.

Radio Radicale è stata fondata alla fine del 1975 da Marco Pannella. Ed è vissuta grazie al lavoro dei “ragazzi radicali”. In quell’Italia che si apriva alla ventata di gioventù, entusiasmo e pluralismo rappresentata dalle radio libere. Se oggi rischia la chiusura è perché il governo gialloverde ha deciso di tagliare i fondi pubblici all’editoria: i soli di cui questa radio vive. La stessa sorte potrebbe toccare ad altre testate storiche del nostro paese, come il manifesto e Avvenire, aperti soprattutto ai temi del lavoro, dell’uguaglianza sociale, del rispetto dei diritti umani e civili.

Uno dei suoi storici direttori è Massimo Bordin. Ma la voce indimenticabile di Radio Radicale, in cui ha trascorso ventidue dei suoi cinquantatré anni di vita, è quella di Dino Marafioti. La cui morte – suicidio indotto? – resta un mistero. Un mistero italiano. Aveva scritto: “Ho capito che siamo tutti diversi. C’è chi ha la bellezza, chi il talento, chi il denaro, e poi ci sono io, che ho l’ansia”. Il giorno dopo – un giorno d’agosto del 2013 – i suoi compagni radicali lo trovarono senza vita accanto a una bottiglia di whisky e a delle pasticche. Si era occupato del trentennale della scomparsa di Emanuela Orlandi, che vede coinvolto il Vaticano, diffondendone un video di un’ora –Caso Orlandi: pensieri, parole, opere e omissioni. Il primo video (diventato libro nel 2016) di un giornalista radiofonico.

Dopo la sua diffusione si sentiva sorvegliato e pedinato. Di qui la sua ansia mortale unita allo stress per una forte cura dimagrante. Ma sono le parole indicative di Massimo Bordin a dirci che non è tutto chiaro sulla fine di Dino Marafioti: “Temo che su questa morte sia necessaria una riflessione seria”. Parole senza un seguito. E così di questo giornalista che si occupava per Radio Radicale di politica e di diritti civili rimangono soltanto i trafiletti dedicati dai giornali alla sua scomparsa.

Una radio come questa non può chiudere. Sarebbe, tra le altre cose, fare torto alla memoria del suo fondatore. A quel campione dell’Italia liberale e libertaria che è stato Marco Pannella. Il governo ci ripensi. Non si limiti a dire a una testata storicamente gelosa della propria indipendenza di trovarsi nella pubblicità altre forme di finanziamento. Alcune testate – Radio Radicale tra queste – sono ancora vere scuole di giornalismo. E vanno preservate.

Gaetano Cellura