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Furono uccisi a distanza di un mese e mezzo l’uno dall’altro. Gaetano Guarino, sindaco di Favara, il 16 maggio, dopo sessantacinque giorni dalla sua elezione. Pino Camilleri, sindaco di Naro, il 28 giugno. L’anno è il 1946. Guarino fu ucciso nel corso Vittorio Emanuele all’angolo con vicolo Musica intorno alle otto e trenta della sera; Camilleri in aperta campagna nel territorio di Riesi.

È un contesto fotocopia – di rivalità politiche, di scontri tra gabellotti e contadini e di pressioni e prepotenze mafiose – quello in cui maturano i due omicidi. Guarino e Camilleri hanno in comune di essere sindaci socialisti. Sindaci socialisti che non vogliono piegare la testa alla mafia nel cruento dopoguerra agrigentino. Dal 1945 al 1960 cadono o restano feriti, oltre ai sindaci, carabinieri e sindacalisti.

Pino Camilleri è giovanissimo. Ha ventotto anni da compiere e una laurea in giurisprudenza. La sua carriera politica pare non si debba fermare a Naro con l’elezione a primo sindaco del dopoguerra: la preparazione politica e la laurea ne fanno infatti un possibile candidato all’Assemblea Costituente. Diventa bersaglio della mafia perché suo fratello, Girolamo Camilleri, si rifiuta di dar lavoro, nel feudo che aveva preso in affitto, ad alcuni braccianti imposti da una famiglia del luogo. Anche il sindaco probabilmente si mantiene sulla stessa linea del fratello: quella di non piegarsi al condizionamento e all’imposizione. E non molto tempo dopo resta vittima di un agguato a colpi di lupara mentre a cavallo si reca da Riesi a Butera nel feudo di Deliella. In quel momento “aspramente conteso – si legge su Wikipedia – tra gabellotti e contadini”.

Gaetano Guarino di anni ne aveva quarantaquattro, si era laureato in farmacia e nel suo paese svolgeva la professione. A Favara dominava allora la famiglia mafiosa dei Cudi Chiatti a cui tutti ricorrevano per risolvere questioni insorte, per chiedere lavoro o favori d’ogni genere. Uno stato fuori legge che con le proprie regole tribali  sostituiva lo stato assente, non ancora in grado di riorganizzarsi dopo la guerra e la caduta del fascismo. Guarino rimase fedele agli ideali della propria giovinezza, e per questo il partito socialista di Favara lo scelse come sindaco prefettizio e poi (nel 1946) come sindaco eletto con il Blocco del Popolo.

Non furono elezioni facili. Mafia e baroni scesero in campo pesantemente per impadronirsi del Comune. Gli aiuti delle Nazioni Unite (UNRRA) per l’assistenza e la ricostruzione dei paesi danneggiati dalla guerra (vestiario, cibo, carburante, medicine), da distribuire alle famiglie più bisognose, facevano gola a tutti, compagni e avversari politici, e soprattutto alla mafia che non perse tempo a saccheggiare i depositi pieni.

Il sindaco Guarino, già bersaglio di continue intimidazioni nel corso della campagna elettorale, si mostrò determinato a denunciare l’accaduto. Ma non fece in tempo. Un colpo di pistola ravvicinato alla nuca, sparatogli mentre discuteva con due amici e dopo che era stata spenta quell’illuminazione pubblica che proprio lui aveva ripristinato, lo mise a tacere per sempre.

Nessuno vide l’assassino. E l’oscurità ne fu ritenuta una valida ragione. Solo voci corsero il giorno dopo su mandanti e sicario. Voci non solo sulla matrice mafiosa dell’omicidio, ma anche su quella politica.

Gaetano Guarino e Pino Camilleri seguivano una sola bandiera: quella del socialismo, dell’uguaglianza e dell’aiuto ai minatori, ai contadini e ai poveri di Favara e di Naro. L’inquinamento mafioso della politica aveva impedito a quella bandiera di sventolare.

Gaetano Cellura