Pubblicità

Quella notte muti marciavano i fanti verso la frontiera, “per far contro il nemico una barriera”. E dalle “amate sponde” del sacro fiume udivano “sommesso e lieve il tripudiar dell’onde”. Era “presagio dolce e lusinghiero”. Con la sua piena, per le abbondanti piogge, il Piave li avrebbe aiutati a respingere il nemico.

La Battaglia del Solstizio – così la chiamò Gabriele D’Annunzio – incomincia la mattina del 15 giugno di cent’anni fa e dura una settimana. E da questa battaglia – in cui morirono 150 mila soldati austriaci e 85 mila italiani, molti annegati nel fiume  – nasce La leggenda del Piave o La canzone del Piave, l’inno patriottico scritto di getto (proprio in quei giorni) dal poeta e musicista napoletano E. A. Mario, pseudonimo di Giovanni Ermete Gaeta.

In quelle fasi conclusive della Prima guerra mondiale l’Italia intera – non solo chi se ne stava al fronte – era ancora sotto shock per la disfatta di Caporetto. Dall’autunno nefasto del 1917 alla primavera del 1918 il paese provò a riorganizzarsi sul piano politico e militare, sostituì il capo del governo e quello delle forze armate e prima della fine dell’anno arrivò Vittorio Veneto: “Indietreggiò il nemico/Fino a Trieste, fino a Trento,/e la vittoria sciolse le ali al vento”.

Fu una settimana di aspri combattimenti quella del solstizio d’estate in cui “si vide il Piave rigonfiar le sponde” e come i fanti combatter le onde. Che fecero crollare le passarelle costruite dagli austriaci. Insieme – onde e fanti – dissero No!

L’esercito austriaco più non fece “un passo avanti” e la resistenza italiana ebbe la meglio. Decisiva, ai fini della vittoria, fu in realtà la migliore organizzazione del nostro esercito rispetto a Caporetto, la migliore conoscenza dei piani militari degli austriaci. Poi vi fu la controffensiva. Con gli Alpini che scalano il Monte Grappa e con la nostra aeronautica che copre le forze di terra attaccando senza tregua le linee del nemico. Operazioni in cui perde la vita Francesco Baracca, asso dell’aviazione italiana. Il cui corpo, ustionato in più parti, viene ritrovato alle pendici del Montello il 23 giugno del 1918. E il suo SPAD S VII, abbattuto dal mitragliere di un biposto austriaco, con le ali e la carlinga carbonizzate. Su sessantatré combattimenti, Baracca aveva riportato trentaquattro vittorie.

L’autore della Leggenda del Piave, che ogni anno sentivamo suonare in ricordo della vittoria nella Grande guerra e che negli anni sessanta ancora si cantava nelle scuole elementari, aveva avuto un’infanzia povera. Era figlio di un barbiere napoletano. Poi aveva vissuto con un impiego alle Poste da cui era stato licenziato per scarso rendimento. Al lavoro Giovanni Ermete Gaeta, in seguito conosciuto come E. A. Mario (e cioè Ermete Alberto Mario), anteponeva i versi e la passione per la musica. Che coltivò sin da ragazzino, nel salone del padre, il giorno che un posteggiatore vi dimenticò il proprio mandolino su una sedia. Da allora, strimpellando melodie e grazie all’abbondanza con cui sfornava versi e canzoni, prese a dar forma – autodidatta in tutto – alla sua musica senza maestro.

Giovanni Ermete Gaeta era mazziniano e massone (iniziato nel 1916 alla loggia Unione e lavoro di Napoli). Scelse di firmarsi con lo pseudonimo di E. A. Mario per l’immensa ammirazione che aveva per il patriota mazziniano Alberto Mario.

La leggenda del Piave, pubblicata il 20 settembre del 1918, è l’opera che lo rese famoso. Il vostro Inno “al fronte è più d’un generale” gli scrisse personalmente Armando Diaz, Duca della Vittoria. Tanto la canzone – della nostra storia la più patriottica – aveva risollevato il morale dei soldati.

E. A. Mario non diventò mai ricco, nonostante la fama. Alcide De Gasperi gli chiese di comporre l’inno della Democrazia cristiana. Lui rispose che non era in grado di scrivere su commissione: seguiva soltanto la propria ispirazione. Il presidente del consiglio ci rimase così male che quando vi fu da scegliere l’Inno della nuova Italia repubblicana, consigliò quello di Mameli.

Gaetano Cellura

 

Nella foto: E. A. Mario pseudonimo di Giovanni Ermete Gaeta.