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“Senza crollare, nessun ponte, una volta costruito, può cessare di essere ponte”. È uno dei racconti postumi di Kafka: e lo trovi tra Blumfeld, un vecchio scapolo e Il cacciatore Gracchus.

Brevissimo Il ponte, la favola di un grande, e più breve ancora del Cavaliere del secchio – forse di Kafka il racconto più bello. E viene alla mente mentre assistiamo, increduli, al crollo (“fragile” lo definiscono gli esperti) del ponte Morandi di Genova.

Tra le cause può esservi – dicono – quella di un fulmine che ne avrebbe colpito un pilone. C’è da crederlo? Vero è che le nostre scuole avevano ancora un indirizzo prevalentemente classico quando quelle degli altri paesi sfornavano tecnici, ma se la nostra ingegneria si arrende a un colpo di fulmine vuol dire che siamo un paese  messo proprio male e che dobbiamo diffidare della sicurezza delle nostre opere pubbliche in generale.

Il ponte di Genova – opera degli anni sessanta – lo ha progettato l’ingegnere Riccardo Morandi. Per la cronaca, lo stesso progettista del viadotto Akragas che collega Agrigento a Porto Empedocle e del nostro ponte sul Salso. Il viadotto agrigentino, su cui la Procura ha aperto un’inchiesta, è stato chiuso, e lo è tuttora, in seguito a una segnalazione di Mareamico.

Dicono, come sempre in questi casi, che sarà la magistratura ad accertare le cause del disastro di Genova. Che non possono che essere strutturali se un cavalcavia, costruito sopra le case, collassa in questo modo. Si dia fiato ora, passati i giorni del lutto, del dolore e dello sgomento, alle inevitabili (quanto inutili) polemiche sulla sicurezza dei nostri ponti e viadotti. Crollati in serie negli ultimi anni. Quando è necessario invece e subito un piano di manutenzione e prevenzione esteso a tutto il patrimonio pubblico del paese, comprese scuole e ospedali.

Il ponte, “rigido e freddo”, del racconto di Kafka si distendeva su un’altura impervia e nessuna carta lo registrava, nessun turista l’aveva attraversato. Sotto vi rumoreggiava “il gelido ruscello delle trote”. Una sera d’estate, la prima o la millesima, finalmente un passo d’uomo si sente e pone fine alla sua attesa d’un passante. Chi era? – si chiede il ponte. Un fanciullo? Un bandito di strada? Un suicida? Un distruttore? O si trattava semplicemente di un sogno?

Sente il passante percuoterlo con la punta di ferro del suo bastone. Poi saltargli in mezzo “a piedi pari”. È a quel punto, trafitto dal dolore, che il ponte si volta per guardarlo. Ma come fa un ponte a voltarsi? Già il solo tentativo ne provoca il crollo: tra i ciottoli aguzzi del ruscello. Aveva smesso di essere ponte, non aveva retto alla prova del primo passante.

Gaetano Cellura