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La Cgil e la sezione locale di Rifondazione comunista intervengono dopo la morte sul lavoro dell’operaio licatese Giovanni Callea.

Ecco la nota della CGIL.

Il drammatico incidente sul lavoro a Licata dove ha perso la vita Giovanni Callea, un operaio di 44 anni che è morto dopo essere rimasto folgorato da una scarica elettrica, ci sconvolge e ci addolora. Non conosciamo l’esatta dinamica di questo ennesimo incidente e siamo certi che la Magistratura compirà con tutto lo scrupolo del caso ogni riscontro volto ad accertare le responsabilità. La CGIL e FILLEA, mentre si stringono commossi ai familiari, alla Moglie e ai tre figli che ci auguriamo non vengano lasciati soli dalle Istituzioni che, a cominciare da quella Cittadina, ci auguriamo voglia dichiarare il lutto cittadino come segnale di attenzione dell’intera Comunità Licatese. La CGIL e FILLEA non possono che rilanciare con forza il senso di una battaglia, che va avanti da decenni, per affermare che occorre maggiore sicurezza nel lavoro, che il lavoro deve servire a vivere e non a morire. La CGIL e FILLEA lo hanno gridato difronte ad ogni incidente, ad ogni infortunio grave, ad ogni morte e sprecato tante parole al vento, nella disattenzione e nell’indifferenza di quelli che debbono decidere. Non rendiamo vano anche questo ulteriore sangue, rendiamogli onore cercando di far compiere a questa nostra società un passo in avanti: abbiamo bisogno di lavoro, di lavoro pulito e sicuro, non permettiamo più che quelle tristi liste di morti si allunghino ancora. Le Istituzioni preposte al controllo ed alla vigilanza su queste tematiche debbono concentrare le loro attenzioni. Siamo, infatti, ben al di sotto di un vero controllo del territorio e ben lontani dalla presa di coscienza da parte del sistema delle imprese per le quali la sicurezza è solo un costo. Ma anche degli stessi Lavoratori che spesso finiscono con il sottovalutare l’importanza della sicurezza e della prevenzione. Il Sindacato vuole continuare ad essere lo strumento ed il luogo dove questa battaglia si organizza, il luogo della solidarietà tra i lavoratori.

Massimo Raso e Vito Baglio

Questa la nota di Rifondazione comunista.

Nel 2017 non si può morire di lavoro. A Licata, giorno 11 è morto folgorato un operaio in un cantiere edile. È morto,un padre di famiglia e un onesto lavoratore. Se ci sono eventuali responsabilità di qualcuno,ci penserà la magistratura a dimostrarlo. Poi magari questo operaio era tra i ”fortunati” essendo in regola, ma se dovessimo pensare alla stragrande maggioranza dei lavoratori di Licata tutti diremmo che lavorano in nero. In una città in declino come la nostra spesso il lavoro in nero è ”sistema sociale” o almeno così tendono a farci credere, spesso gli stessi datori di lavoro sono in condizioni giuridiche non troppo trasparenti. Ciò non vuole essere una caccia alle streghe, ma un appello affinchè chi ha il dovere di controllare lo faccia, chi ha necessità di collaboratori venga messo nelle condizioni (specie economiche) di poter essere ligio alle regole ed infine, ma soprattutto, che il lavoratore che denuncia abbia accanto sindacati ed istituzioni e non venga trattato come un appestato e ridotto a dover emigrare perché nessuno gli da più un lavoro. Inoltre la questione è che se nel 2017 ancora si muore, è colpa del sistema capitalista su cui si basa la nostra società. Nella nostra società capitalistica, il profitto e l’ottimizzazione dei tempi sono dei capisaldi intoccabili su cui non bisogna neppure discutere.
I diritti dei lavoratori sono diventati un lusso, l’articolo 18 è stato cancellato e lo Statuto dei lavoratori è considerato una carta vecchia e inutile. Perciò il problema è alla radice, il problema è il sistema capitalista che mette il profitto davanti alla vita delle persone. Ogni vittima del lavoro, è un morto in più sulla “coscienza” di chi sfrutta e di chi sostiene questo sistema.

Rifondazione comunista