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Nel romanzo Un posto tranquillo, l’avvocato penalista Enzo Marangolo (sopra nella foto) racconta la sua città, dove il fascismo è stato quasi invisibile. La vita, i luoghi e i personaggi di Acireale ti scorrono davanti dalla seconda metà degli anni Trenta all’arrivo degli inglesi di Montgomery nell’estate del 1943.

Leggere Marangolo, il Marangolo di Un posto tranquillo, è come osservare un quadro. Un grande quadro, alla Guttuso. E ci vedi i bei palazzi nobiliari di Acireale, le case, il circolo con la conversazione serale, la banda musicale cittadina, la villeggiatura estiva, le strade deserte e desolate già dalle cinque del pomeriggio negli anni della guerra. Ci vedi il mare acese: unico – per bellezza – tra tutti i mari del mondo. Mussolini, di passaggio; il maresciallo Kesselring; e il re che visita la città in un giorno di pioggia: ne ammira le statue e indugia curioso sulla pregiata collezione di monete del barone D’Alcantara. Ci trovi i suoi nobili appunto, i baroni D’Alcantara e Consoli che sono pure cognati, così diversi dall’aristocrazia – avida, neghittosa e ignorantissima – della storia siciliana. Dei veri gentiluomini: molto sensibili: propensi alla carità e al bene, come d’Alcantara; o compromessi con il fascismo, come Consoli, che di Acireale è podestà: ma compromesso in modo blando, non proprio per convinzione politica. Il podestà d’una città tranquilla, dal fascismo tranquillo.

Ha trent’anni Enzo Marangolo quando si avvicina alla letteratura pubblicando quindici racconti sul settimanale Il Mondo di Mario Pannunzio. E il primo, Mussolini a Valverde, sarà poi l’incipit del suo romanzo. Ma perché è un posto tranquillo Acireale? Perché è città di gente “perbene”: un solo arresto durante i vent’anni del fascismo. Quello di Antonio Castro, giovane studente venuto alle mani con dei soldati tedeschi al caffè Bonanno di via Cavour. E perché la stessa guerra sembra esserle avvenimento lontano, fuori dalla sua orbita. Gli inglesi vi arrivano un mese dopo che, in altre parti, lo sbarco degli Alleati è avvenuto; e quando l’Isola è stata in gran parte conquistata. Senza grandi difficoltà, o almeno minori di quelle che Patton e Montgomery temevano: a parte i combattimenti tra Gela e Catania, e quelli della Piana, cui il romanzo di Marangolo accenna. Persino la caduta del fascismo, il passaggio da un’epoca all’altra ad Acireale viene vissuta senza sussulti, ansie e timori. Gli inglesi, ricevuti nel suo bel palazzo dal barone D’Alcantara, lo nominano sindaco della città: per le doti umane, riconosciute e da tutti apprezzate. Lui vorrebbe opporre rifiuto. Dice che in qualche modo è compromesso con il passato regime e che suo cognato è stato podestà sino a quel momento. Ma gli inglesi insistono. Hanno bisogno di uomini nell’Amministrazione civile sui quali poter contare. Influenti nel contesto in cui vivono. Meglio i galantuomini come D’Alcantara, comunque, dei mafiosi negli stessi giorni nominati sindaci dagli americani in molti paesi della Sicilia occidentale.

Senti l’eco del Gattopardo in queste pagine – le pagine finali di Un posto tranquillo. L’eco della conversazione tra il principe Salina e l’emissario piemontese Chevalley venuto a offrirgli il laticlavio per conto del nuovo governo. Salina, rappresentante dell’aristocrazia borbonica, non l’accetta. Per decenza.

Il barone D’Alcantara – nobile anche lui, anche lui rappresentante di un’epoca al tramonto – accetta invece, suo malgrado. E non sappiamo, in fondo, se cosciente o meno di non essere il solo, in quell’ennesimo cambio di sistema e di ordine politico, a recitare la vecchia mutazione gattopardesca.

Furono necessari quaranta giorni agli Alleati – nonostante la loro schiacciante superiorità militare – per raggiungere Messina e liberare interamente l’Isola. E questo perché non tutti scapparono e perché nella piana di Catania vi furono combattimenti e resistenze. A Leonardo Sciascia, dal balcone di casa sua a Racalmuto, a cinquanta chilometri dalla costa, lo sbarco americano apparve come “la rutilante vigilia” della festa patronale. Lo scrittore, allora ventiduenne (aveva un anno in più di Marangolo), vede l’orizzonte, nella notte, germinare a un tratto “di veloci steli di luce, di sfere luminescenti…, arcobaleni”. E sente un rombo “sempre meno lontano, crescente”. Molti dei soldati americani che il giorno dopo arrivano a Racalmuto sono nipoti dei siciliani della prima generazione di emigrati nel Texas per lavorare alla costruzione della grande linea ferroviaria dall’Atlantico al Pacifico. Era la generazione del 1881. L’anno della pubblicazione dei Malavoglia.

Nella Sicilia orientale, odorante di zagare, fitta d’agrumeti e di nera e umida terra sotto gli alberi, Enzo Marangolo è testimone dello sbarco inglese. E ce lo presenta nel suo romanzo come una ressa di navi da guerra e mercantili, d’ogni stazza, nel mare di Siracusa e sino al golfo di Noto. Mentre nell’entroterra, sotto la luna al massimo splendore, i nemici avanzano. E di giorno sono tanti, difficile calcolarne il numero: soldati e mezzi visti da un altopiano come formiche in movimento.

Le parole più belle di Un posto tranquillo (pubblicato da Bompiani nel 1964) sono pronunciate dal tenente degli Arditi, Alborno. Quando lascia Acireale e va a salutarne il podestà, il barone Consoli. Sono parole piene della più profonda malinconia. La malinconia padrona dell’intero romanzo. “Non poteva finire che così”, dice. E cioè male, com’era cominciata. Non poteva che finire male una guerra cominciata con un atto di viltà: l’aggressione alla Francia, al “nemico boccheggiante”.

Tratto da Le ultime foglie cadute – Storie del secolo breve di Gaetano Cellura