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Visite in Sicilia Giovanni Paolo II ne aveva già fatte due prima di quella di venticinque anni fa nelle valli del Belice e dei Templi. Che non sarebbe stata neppure l’ultima: nel 1994 fece un viaggio a Catania e l’anno dopo a Palermo per il convegno delle chiese d’Italia.

La Chiesa siciliana ha avuto sin dal dopoguerra una funzione importante nella ricostruzione dell’Isola. Era l’unica istituzione sopravvissuta nel vuoto politico lasciato dalla caduta del fascismo. I vescovi furono i primi interlocutori degli Alleati man mano che avanzavano. “Le gerarchie della Chiesa cattolica sono state prontissime a cooperare” scrisse il generale Rennell al Foreign Office. E non solo: fu dall’Azione Cattolica che poi vennero fuori gli uomini della nuova classe politica dirigente dell’Isola.

Ma a distanza di tempo la Chiesa siciliana si accorgeva che, a fronte di questo suo pur lodevole merito storico, molte crepe tuttavia si aprivano nella società dell’Isola sul piano dell’etica e della solidità della fede. Soprattutto dopo il ’68.

Spettò a vescovi come Pappalardo a Palermo e Picchinenna a Catania rilanciarne le forze più vive al suo interno e ad avviare la nuova primavera ecclesiastica sul terreno pastorale e sociale.

Questo rilancio ebbe nelle visite di Giovanni Paolo II del 1993 e del 1994 il suo culmine. Visite che segnarono – come scrisse Giuseppe Di Fazio su La Sicilia – “un radicale cambiamento di mentalità”.

“L’uomo è un diritto di Dio” – disse il Papa in quel suo discorso del 1993 contro la mafia nella Valle dei Templi di Agrigento. E l’anno dopo ai giovani di Catania disse – scrive sempre Di Fazio – che si può parlare del destino, ma non come di un fato cieco e necessario.

Gaetano Cellura