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Nel 1972 due omicidi scuotono Ragusa. Il 25 febbraio viene ucciso Angelo Tumino, ingegnere e costruttore edile, un passato da playboy e da esponente politico del Movimento Sociale Italiano. Viveva con il figlio di nove anni. Da qualche anno si occupava solo di antiquariato ed era “noto per la spregiudicatezza con cui conduceva gli affari”. Il corpo viene trovato in campagna, a dieci chilometri dalla città, ma non la sua auto, una Prince NSU, né il proiettile che l’aveva colpito “al centro della fronte” e che era fuoriuscito dalla nuca. Il 27 ottobre a essere freddato con sei colpi di pistola è Giovanni Spampinato, un giovane di ventisei anni, corrispondente del giornale L’ora, che dell’omicidio di Tumino si occupava scrupolosamente. Da una delle sue ultime cronache sono tratti i nostri virgolettati di sopra. L’ora aveva già pagato un alto tributo per gli attentati mafiosi e le bombe fasciste alla propria sede, e per l’omicidio di Mauro De Mauro. Era un giornale della sera e usciva nel tardo pomeriggio. La ricordo esposta nell’edicola storica del mio paese, l’edicola Moncada di piazza Progresso: il formato piccolo, già moderno, il titolo grande della prima pagina. Un giornale di sinistra, ma non di partito. Tenuto in vita dai rubli di Mosca, si diceva. Come Paese Sera. Comunque, una scuola di giornalismo. Un faro democratico sulla Sicilia. Spampinato ne era uno dei corrispondenti più bravi, di sicuro avvenire. Non si limitava a raccontare i fatti: andava alla ricerca della verità. Giornalista d’investigazione. Tutte le mattine veniva svegliato dal responsabile della redazione di Palermo e insieme concordavano l’articolo di cronaca della giornata. È leggendo quelle cronache che provo (parzialmente) a ricostruire questa storia e a raccontarla. Ed è leggendone le cronache della morte che scopro, descritti da chi lo conosceva, i tratti del suo carattere: il mutevole umore, la noia che gli procurava la vita di provincia, l’angoscia che lo corrodeva e che gli impediva spesso di scrivere. Erano tempi inquieti per il paese, di trame rosse e nere. E dietro le nere c’erano i servizi segreti. Le BR già esistevano. La notte della Repubblica cominciata. Nel maggio del 1972 veniva ucciso a Milano il commissario Calabresi con due colpi di pistola alla nuca. Come esecutori dell’omicidio furono condannati i militanti di Lotta Continua  Leonardo Marino e Ovidio Bompressi e come mandanti  i leader del movimento Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani. Ma questa è un’altra storia. Giovanni Spampinato aveva concentrato la sua attenzione sul neofascismo nella Sicilia orientale – una bomba era esplosa nella sede della Cgil di Siracusa – che si avvaleva della regia e della presenza in loco del terrorista ricercato Stefano delle Chiaie detto il Caccola per la bassa statura. Nel caso Tumino ci mise lo stesso impegno. Quello di sempre. Capì che l’omicidio del noto antiquario aveva retroscena e lati oscuri riconducibili agli ambienti della destra neofascista. E ogni sua corrispondenza si rivelava un atto d’accusa, una tappa di avvicinamento alla verità. Il volto e il nome del probabile assassino appariva sempre più chiaro. Si trattava di un altro giovane, Roberto Campria, che godeva di particolare protezione. Era figlio del presidente del tribunale di Ragusa. Di qui le piste sbagliate, le indagini sviate. Studente di giurisprudenza, dipendente dell’amministrazione provinciale di Ragusa, Roberto Campria era amico di Tumino, forse in rapporti d’affari con lui, e ne frequentava la casa. Dove fu trovato, dopo l’omicidio, intento a “sistemare delle carte”, scrive Spampinato.  E nelle ore che precedettero quella in cui venne accertata la morte dell’ingegnere (stando sempre alle rivelazioni di Spampinato) furono visti insieme sulla macchina da una vicina di casa, dal benzinaio che li aveva riforniti di carburante e da altre persone, forse una decina. Considerato il maggiore indiziato dell’omicidio, fu più volte “torchiato” dagli inquirenti. Ma a un certo punto, per la lunghezza delle indagini, in città si sparse la voce che si tendeva a insabbiarle, ad archiviare l’inchiesta. Spampinato denunciava tutto questo. E alla fine di ogni articolo firmava la propria condanna a morte. Non ci pensava?  Lo sapeva e non se ne curava? Fatto sta che una notte d’autunno Roberto Campria, che si dichiarava estraneo all’omicidio di Tumino, lo mise a tacere per sempre sparandogli. “Lui mi ha ucciso moralmente – disse mentre si costituiva. – Io l’ho ucciso fisicamente”. Vittorio Nisticò scrisse (L’ora del 28 ottobre 1972) che all’impegno di Spampinato non aveva fatto riscontro quello delle autorità ragusane. “A cominciare dallo stesso padre dell’assassino che avrebbe dovuto perlomeno sentire il dovere di dimettersi dalla delicata carica di presidente del tribunale” appena il nome del figlio affiorò nella “torbida vicenda”.  La torbida vicenda del primo omicidio.

Gaetano Cellura,  (la nota Ragusa 1972 è tratta da Rumore di fondo, acquista il libro)