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Non siamo ancora un paese razzista, ma di questo passo poco ci vuole. In specie se si sottovalutano certi episodi. A Partinico e a Lercara Friddi sono stati pestati due giovani di colore di cui uno nato in Italia e adottato da una famiglia di San Giovanni Gemini. Ma per il presidente della regione Nello Musumeci in Sicilia non vi è nessun rischio di razzismo: “Solo una forma di intolleranza – dice – da parte di qualche cretino o delinquente”.

A Napoli ieri un senegalese di 22 anni con permesso di soggiorno è stato ferito alla gamba da alcuni colpi di pistola sparati da uno dei due giovani (di pelle bianca, secondo le testimonianze) su uno scooter in corsa.

Il giornalista veronese Enrico Nascimbeni, aggredito ieri a Milano davanti alla propria abitazione, è riuscito alzando il braccio a proteggersi da una coltellata al viso sferratagli al grido di “sporco comunista”. È impegnato in un’associazione antirazzista e anti-omofobia.

Questi fatti si aggiungono a quanto avvenuto nella notte tra il 29 e il 30 di luglio all’atleta Dayse Osakue colpita all’occhio da un uovo lanciato da alcuni ragazzi di Vinovo. Poi c’è da ricordare – e fa bene oggi Carlo Bonini a ricordarlo con un bel servizio su Repubblica – quanto accaduto a Macerata sei mesi fa: il ferimento a colpi d’arma da fuoco di sei persone di colore da parte di un uomo che, bloccato poi dalle forze dell’ordine, si è avvolto nella bandiera tricolore e ha fatto il saluto fascista.

Forse non è ancora razzismo diffuso. Isolati episodi. Ma si comincia così.

E dunque è giusto dare una ripassatina alla storia. Utile per arginare certi fenomeni. Nel 1938 il professore Attilio Momigliano veniva scacciato dall’università di Firenze in quanto ebreo. Trovò conforto nella lettura di Dante e di Torquato Tasso: quando, era il 1943, costretto a fuggire da un paese all’altro e ad affidarsi all’aiuto di qualche amico e di qualche allievo, gli furono più evidenti i rischi cui andava incontro.

Nel 1968 il reverendo Martin Luther King fu ucciso a colpi di fucile Remington perché si batteva contro l’odio e la discriminazione razziale. Robert Kennedy, ucciso due mesi dopo di lui, appresa la notizia mentre faceva campagna elettorale per le presidenziali, disse ai neri in un comizio: “Per quelli di voi che sono tentati dall’odio verso tutti i bianchi, di fronte a un atto così ingiusto, posso solamente dire che in cuor mio provo il medesimo genere di sentimento. Ho avuto un familiare ucciso, ma da un bianco. Eppure dobbiamo sforzarci, qui negli Stati Uniti, di superare questi tempi così difficili”.

Nelson Mandela diceva che il cammino per la libertà è lungo e difficile. Ha scontato 26 anni di carcere, e grazie a lui in Sudafrica è finita l’apartheid.

E certo non finisce qui. Perché ancora tanto di utile possiamo attingere dalla storia. Con l’augurio che sia sempre maestra di vita.

Gaetano Cellura