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Non basta averlo ripulito dai rifiuti d’ogni genere che vi sono stati portati negli anni scorsi. Ora sta cadendo a pezzi senza che nessuno intervenga per conservarlo come luogo della memoria. All’ultimo appello di Giovanni Impastato, fratello di Peppino, ha risposto solo il sindaco di Cinisi: “Qualora il governo nazionale e quello regionale dovessero continuare a disattendere il loro dovere morale e politico, il Comune saprà farsi parte attiva”.

In effetti sia Renzi, quand’era premier, che Crocetta, quand’era governatore, avevano preso l’impegno di provvedere a spese dello Stato o della Regione alla messa in sicurezza del casolare di contrada Feudo a Cinisi dove nel 1978 è stato ucciso dalla mafia Peppino Impastato. Impegni non mantenuti e verso i quali non si registra alcuna sensibilità neppure da parte degli attuali governi – nazionale e dell’Isola. L’unica cosa finora ottenuta è il vincolo d’interesse storico-culturale posto sul casolare. Ma se fino a qualche tempo fa era possibile visitarlo, ora le condizioni di pericolo in cui versa lo impediscono.

Per renderlo fruibile al sacro ufficio della memoria dovrebbe essere confiscato, trattandosi di proprietà privata, e ristrutturato. Ma al momento l’unico impegno serio sembra quello assunto dal sindaco di Cinisi con le parole soprariportate. Poterlo un giorno visitare, in condizioni di sicurezza, permetterebbe di andare oltre i cento passi che separano la casa degli Impastato da quella del boss Gaetano Badalamenti. Andare oltre, percorrere idealmente l’intero itinerario di vita e impegno contro la mafia sino al casolare di contrada Feudo in cui le tracce del sangue di Peppino furono scambiate per sangue mestruale. Prima della messinscena, per sviare le indagini, dell’attentato terroristico sulla linea ferroviaria Palermo-Trapani, dove fu portato quand’era già morto: per simulare un attentato da lui stesso maldestramente organizzato e in cui avrebbe perso la vita. Da lì partono le investigazioni più strane, vengono sentiti i testimoni inutili e ignorati quelli importanti. Come Provvidenza Vitale, quella sera in servizio al casello ferroviario di Cinisi.

Vicino al casolare di contrada Feudo c’è l’aeroporto di Punta Raisi, passaggio cruciale nel 1978 del traffico della droga. E pare che ad averne il controllo fosse Gaetano Badalamenti, il boss schernito da Peppino dai microfoni di Radio Aut e condannato – ma dopo ventiquattro anni – come mandante del suo omicidio.

C’è di che riflettere su quest’Italia in cui, qualche anno fa, un rappresentante delle istituzioni definiva lo stalliere Mangano un eroe e in cui la politica dimentica Peppino Impastato e lascia nell’abbandono il casolare dove fu ucciso. Facciamolo ancora a quasi un mese dall’appello lanciato da suo fratello e nel giorno in cui ci lascia Augusta Schera, la madre che non ha mai smesso di cercare la verità sulla morte del figlio, il poliziotto Nino Agostino, ucciso (fra poco saranno trent’anni) da due uomini su una motocicletta. Anche per questo omicidio è stata messa in moto la macchina del depistaggio. Augusta Schera diceva che la verità “è dentro lo Stato”. Ora a chiederla resta suo marito che ha promesso di non tagliarsi la barba finché non l’avrà trovata.

Gaetano Cellura