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referendum istituzionaleSolo in cinque sezioni i repubblicani mostrarono a Licata la propria forza. E di queste, a poca distanza, tre erano nel centro della città. Nel complesso, tra monarchia e repubblica, non ci fu partita nel referendum istituzionale del 2 giugno di settant’anni fa. I licatesi manifestarono fedeltà alla Casa Reale con 9445 voti; la repubblica ne prese 5763. Quello stesso giorno si vota per eleggere anche l’Assemblea Costituente: e la scelta dei nostri concittadini di allora, e degli altri elettori del collegio, premia l’onorevole Adonnino (nella foto sotto) riconfermato alle elezioni politiche del ‘48.

Due mesi prima del referendum, con precisione il 24 marzo del 1946, i licatesi erano già andati alle urne. Per eleggere il consiglio comunale, che avrebbe a sua volta eletto sindaco l’avvocato Giovanni Melilli della Democrazia cristiana. Era il primo consiglio comunale dopo la caduta del fascismo.

Bisognava tornare indietro, molto indietro nel tempo, per ricordare altre elezioni libere, altri sindaci e deputati liberamente scelti. Il voto per il Comune dà questi risultati. Su quaranta seggi, 18 se li aggiudica la Democrazia cristiana; 13 le due liste di sinistra; 7 l’Elmetto, una lista di ex combattenti; 2 i liberali. Questi ultimi, con gli ex combattenti e soprattutto con la notevole rappresentanza politica della Democrazia cristiana determinano l’elezione del sindaco Melilli.

Che città era Licata allora? Come tutte le altre, scopriva pian piano la democrazia, il suffragio universale, il voto alle donne che per la prima volta si recavano al seggio e per la prima volta potevano essere elette. Appena tre anni erano passati dallo sbarco degli americani. Ma a tutti pareva già avvenimento lontano tra le angustie del presente e l’incertezza del futuro. Mancavano pane e lavoro, la guerra continuava nel resto della penisola, il governo Badoglio si rivelava inadeguato di fronte alle emergenze, i nascenti partiti si mostravano divisi e l’ondata separatista aumentava in Sicilia la confusione e l’incertezza tra illusioni d’indipendenza dell’isola o di una sua annessione agli Stati Uniti. Non solo. Ma nel vuoto di potere, lasciato nelle città dagli alleati man mano che avanzavano lungo l’Italia, bisognava fare i conti con il banditismo e con il nuovo ruolo, sempre più determinante, assunto dalla mafia.

Giovan_Battista_AdonninoPrima di arrivare al voto del 27 marzo e a quello del 2 giugno del 1946, Licata aveva vissuto avvenimenti tragici, come la jacquerie del 28 maggio di due anni prima cui era seguito un processo presso il tribunale militare di Palermo. Con l’accusa per gli arrestati di insurrezione armata contro i poteri dello Stato. In un paese che aspirava alla pacificazione e a chiudere i conti con il passato, devastato e alle prese con la ricostruzione di case, ponti, strade ferrovie e flotta navale, più della metà dei licatesi accusati furono assolti. E quelli ritenuti colpevoli poterono godere del condono e dell’amnistia.

L’insurrezione del ’44 ebbe tuttavia strascichi di cui la parte moderata di Licata tiene conto quando, due anni dopo, è chiamata al voto. E sceglie in prevalenza la Democrazia cristiana alle elezioni comunali, un democristiano come Adonnino per la Costituente e la monarchia come ultimo baluardo della conservazione. Si rivela comunque una città divisa e incapace di dare il grosso dei voti ai candidati locali con più possibilità di successo. Succede con Adonnino e, l’anno dopo, alle elezioni per l’Assemblea regionale, con Ines Giganti Curella. L’uno e l’altra devono sperare nei voti del collegio per essere eletti. Al referendum Licata vota allo stesso modo di tutto il meridione d’Italia che mal sopportava il nord repubblicano. E chi sceglie il re sconfitto si trova in compagnia, per citarne alcuni, di liberali come Croce e come Einaudi, futuro presidente della repubblica.

Gaetano Cellura