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Il poeta licatese Salvatore Cucinotta ha ricevuto sulla sesta raccolta “Risvegli” un altro autorevole saggio da parte del critico internazionale letterario Professoressa Luisa Trenta Musso.

Il tempo, il luogo, il viaggio. Questo il tragitto poetico in cui si muove Salvatore Cucinotta. Già esplicito, all’inizio, nei semantemi “posti”, “viaggio”, “visitai”, i quali puntellano la prima lirica della sua densa raccolta “Risvegli”. Qui si muovono l’Ulisse di Omero (l’universale) e l’Ulisse di Joyce (il precario) dentro e oltre l’hic et nunc dell’esistere, per una dialettica della meta che si pasce del godimento della quotidianità (“piacere di tenerlo per mano”). Il che è il massimo della gestione coscienziale, come personale strategia di vita. O, se si vuole, del “carpe diem”.Il tutto tramite una pronuncia icastica, dove la vis elegiaca della parola si contrae, nella teca della memoria, in un grumo di loquaci silenzi: “Rividi nel fruscio/l’andare dei giorni/ con lentezza/ nei posti dove/ anche i ricordi / si fecero silenti”.
Segue – com’è nel viaggio (o interrogarsi) esistenziale – il momento dell’estenuazione del ritmo temporale, la quale ipoteca inevitabilmente la felicità dell’approdo.
Volontà di vita, dunque; che, però, può rovesciarsi nel suo contrario. (“frantumato dal suo sguardo/in esodo”). Non di rado nella retrocessione dell’io nel suo hic et nunc. Che è il nostos di ritorno dal viaggio ambizioso verso i luoghi dell’inconoscibile.
A ristabilire l’equilibrio è l’amore “sorriso”, “carezza”, “ricordo” . L’amore senza “volto” dentro un delicato ritratto surreale che lo rende stabile e figlio legittimo della Creazione col suo perenne primigenio codice di Bellezza. E tutto diventa favella loquace, ascolto, meraviglia. Un involversi del viaggio nel luogo della partenza, che è quello delle radici, la terragna residenza che l’Ulisse joyssiano circumnaviga, come un anello di raccordo del suo continuo andirivieni dall’onirico al quotidiano. Questo l’ordito semantico della raccolta “Risvegli”, la quale porta i segni inequivocabili di uno strenuo, ambizioso (ammirevole) cimentarsi di Salvatore Cucinotta con la Poesia, come irrinunciabile bisogno di risposte al grande interrogativo (del “chi sono” e dal “dove vado”) che gli preme dentro. Sennonché, nel prendere le distanze dal dire stereotipo, cede a certi preziosismi della pronuncia poetica. Come il gusto dell’eccentrico, l’accanita scarnificazione del linguaggio fino alla laconicità, l’indugio di un gioco trasfigurante operato sui materiali della realtà per farne oggetti luminescenti di un personale divertissement. Un protagonismo dell’io, dopotutto affabulante. Normalissimo in un fare poietico in progress. Com’è (e deve essere) in Poesia.

Luisa Trenta Musso