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602-408-20121227_125759_1737E412Stimiamo molto Antonio Ingroia. Ma farebbe meglio a non candidarsi alle politiche. È un grande magistrato. Ha condotto e concluso l’importante indagine sulla presunta Trattativa tra lo Stato e la mafia e l’avremmo visto bene nel ruolo (che è poi il suo) di pubblico ministero quando si svolgerà il processo. Già il fatto d’aver accettato l’incarico dell’Onu in Guatemala privava il dibattimento del suo più noto protagonista. Ma c’era sempre la speranza, in quanti disperatamente cercano la verità sulle stragi mafiose di vent’anni fa, che potesse ripensarci e tornare. Che non avrebbe resistito alla volontà di dimostrare, lui stesso, nell’aula di tribunale, senza nulla togliere all’indubbia capacità e professionalità dei suoi colleghi e collaboratori, la fondatezza della tesi accusatoria. Se lascia l’incarico in Guatemala per darsi alla politica, la stessa pur già debole speranza di vederlo protagonista nel processo sulla Trattativa svanisce del tutto. Non che Antonio Ingroia non possa dare al paese il suo grande contributo anche in politica. Ma è con la toga che lo vogliamo. Perché con la toga può dare di più nel paese delle tante stragi di cui ancora non si conoscono i mandanti. Nel paese ancora in cerca di giustizia e soprattutto di verità. Anche il procuratore Grasso (nella foto) avrebbe fatto meglio a non candidarsi (ha deciso di farlo con il Pd). Pur riconoscendogli doti di equilibrio, molto importanti in politica, pur riconoscendo che sarebbe un ottimo ministro dell’Interno nel futuro nuovo governo, Grasso lascia un grande vuoto nella Procura nazionale antimafia. Se poi vogliamo fare un discorso meno politicamente corretto, anzi un po’ duro, si potrebbe dire che ce ne sono abbastanza di magistrati in politica. E solo qualcuno si è dimesso dalla magistratura. La maggior parte ha scelto l’aspettativa. Per poter tornare al vecchio mestiere una volta chiusa l’esperienza politica. Ed è proprio per questo che le loro candidature suscitano polemiche e critiche. Anche giuste. Perché alcuni magistrati hanno sfruttato le inchieste giudiziarie per diventare famosi e per accedere alla carriera politica. E perché, essendo quella del magistrato una funzione estremamente delicata e necessariamente al di sopra d’ogni sospetto, più giuste dell’aspettativa sarebbero le sue dimissioni. Si toglierebbero così argomenti a quanti – in buona o in malafede – ritengono che il magistrato-politico, tornato a svolgere la propria originaria funzione, possa approfittarne contro gli avversari politici.

(g.c.)