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10411150_10204545745717628_1755601962119948608_nErano stati sciolti i consigli comunali di Gela e di Palma di Montechiaro. Quello di Licata, nel mezzo, non poteva certo restare in piedi. E allora, per motivarne lo scioglimento, si ricorse nel decreto alla formula magica delle infiltrazioni mafiose. Presunte, si capisce. E tali rimaste visto che per nessuno dei quaranta disciolti consiglieri vennero poi accertate responsabilità di questo tipo.

Bisogna comunque tenere conto del contesto (regionale e nazionale) di quegli anni. Il consiglio comunale di Licata fu sciolto il 31 luglio del 1992. C’erano state le stragi di Capaci e di via D’Amelio. Era incominciata l’inchiesta Mani Pulite. I partiti crollavano sotto i colpi della magistratura. Un sistema di generale corruzione politica veniva scoperchiato. E gli italiani facevano i conti con la più forte svalutazione della lira, resa necessaria per salvare il paese dalla bancarotta. Movimenti come la Lega e come la Rete di Orlando denunciavano traendone profitto elettorale il malgoverno e la corruzione pubblica.

A Licata influì molto sulla decisione di commissariare il municipio la chiusura del mattatoio comunale e la conseguente clamorosa protesta inscenata dai macellai. Che portarono in piazza Progresso, proprio davanti alla sede del Comune, tutti gli animali da macello, lasciandoveli a dimora per diversi giorni. Con la giunta in carica e con l’intera classe politica, in quei giorni così difficili – e cruciali per la democrazia – scomparse di scena. Crediamo sia stato questo spettacolo nella pubblica piazza, alla fine, a determinare il commissariamento e a sospendere la vita democratica per quasi due anni. L’attuale prefetto Nicola Diomede è stato uno dei tre commissari mandati a Licata nel 1992. Gli altri due erano Giuseppe Di Cesare e Salvatore Petralito. Tutti e tre operarono all’insegna del risparmio e del risanamento delle casse comunali.

Poi, lo sappiamo, cambiò il sistema elettorale e nel ’94 ci fu la prima elezione diretta del sindaco.

I commissari straordinari dunque sono sempre stati di casa a Licata. Dai tre nominati nel 1992 a Dario Cartabellotta e a Maria Grazia Brandara. Passando per il dottor Terranova, che ha sostituito il consiglio comunale dimessosi nel 2009. Segno inconfutabile della nostra fragilità democratica o delle nostre scelte politiche molto spesso sbagliate.

La differenza tra il periodo di gestione commissariale di vent’anni fa e quello odierno sta (ma è questa un’opinione del tutto personale) nella capacità che allora, in quel periodo, ebbe l’area democratica e progressista della città di organizzarsi e di vincere sia le elezioni politiche che quelle comunali. Oggi quest’area, cui dovrebbe essere affidato il cambiamento (dopo vent’anni di egemonia della destra), purtroppo sembra dormire.

Gaetano Cellura