Pubblicità

terremoto-rieti-umbria-marcheIeri sera su La 7 mancava l’apocalisse del Belice nel servizio sui tanti terremoti che hanno colpito l’Italia. Anche un giornalista attento, di solito, come Sergio Rizzo ha dimenticato quel terremoto mentre ricordava tutti gli altri. Eppure, sono passati solo quarantott’anni. È storia recente. Molti di noi ci sono dentro.

Qualcuna, molto debole, delle scosse del Belice arrivò anche a Licata in quella notte di gennaio: e ci colse bambini risvegliati da un incubo, mentre per precauzione più famiglie lasciavano le case.

Che dire? Un tempo, senza voler scomodare l’ignoranza, l’avremmo ritenuta una dimenticanza più sospetta che strana. Oggi che il paese è un po’ più unito, riteniamola una superficialità giornalistica.

Dopo dodici ore dalla sciagura la prima tenda e la prima pagnotta non erano ancora arrivate a Santa Margherita Belice. Un vecchio articolo di Sciascia sull’Ora ne denunciava il ritardo. E dovemmo anche sopportare i commenti della stampa del nord, che ci chiamava “Quelli lì”. Quelli cioè che avevano il torto di vivere ancora nelle case di gesso: mica di cemento armato, come al nord.

Le cose sono cambiate. E meno male. Soccorsi e solidarietà ora scattano immediati, senza i colpevoli ritardi di una volta. Persino i richiedenti asilo ospitati nelle Marche sono prontamente accorsi per prestare aiuto volontario. Solo sette anni dopo quell’altro che ha colpito l’Aquila, e in un’ora ancora tragica della notte, nel buio più profondo dei luoghi e dell’anima, il terremoto si è abbattuto sul centro Italia dei borghi antichi cancellandoli. Cancellandone storia e bellezza.

I geologi dicono che il disastro poteva essere evitato e che in Italia non si fa prevenzione. Può essere: non lo sappiamo. Sappiamo solo che ancora una volta non bisogna far altro che scavare, salvare altre vite umane, fare il bilancio dei morti. E poi ricostruire. Recuperare una bellezza perduta.

(g.c.)