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20131243153252734_20Vince Leave dopo un lungo testa a testa. Il Regno Unito è fuori dall’Ue. Le borse vanno a picco. Ma anche con la vittoria del Remain sarebbe stata ugualmente un’Unione tutta da buttare. Lo spirito europeista, necessario per costruirla, è sempre mancato. Se pensiamo a Spinelli, a Schuman, a De Gasperi, al loro progetto d’Europa federale, oggi possiamo dire, e con più convinzione di ieri, che erano dei sognatori. Volevano l’unione dei popoli, pensavano a un futuro di pace e di cooperazione per il Vecchio Continente. Ma hanno avuto tutt’altra risposta: l’Europa unita sotto il segno della moneta e condizionata da interessi nazionali cui nessun paese membro intende rinunciare.

La Gran Bretagna, che non ha aderito all’euro, conservando la propria moneta, con il referendum di ieri dice “no” anche all’unione politica. Sceglie la Brexit, l’uscita.

E tra le possibili conseguenze potrebbe esserci l’effetto domino. Altri paesi potrebbero seguirne l’esempio e mandare in frantumi pure l’unione monetaria che nessuno ama davvero. Un ritorno agli Stati-nazione inadeguati a competere nell’era della globalizzazione economica.

L’Europa unita era già fallita prima del referendum vinto dagli euroscettici in Gran Bretagna. È fallita perché non poteva reggere un’Unione fondata solo sulla moneta e sul rigore economico che ha affamato popoli e Stati deboli, cancellato diritti, creato disoccupazione e ampliato a dismisura le disuguaglianze sociali. È fallita sul piano dell’integrazione e su quello dell’immigrazione. I campi profughi di Idomeni, di Calais e di Ventimiglia, le tende nel fango, l’inferno terreno senza speranza di “riveder le stelle”, l’assenza di un coordinamento comune e di un servizio d’intelligence europeo per far fronte al terrorismo sono le vere fotografie, la vera realtà d’un continente diviso su tutto, in preda ai populismi vari, dominato dalla finanza e privo di statisti dallo sguardo lungo.

(g.c.)