Pubblicità

gelaLa differenza tra Licata e Gela?

Una città non ha niente da difendere, proprio niente, e si vede. L’altra ha un tessuto industriale – diretto e indiretto – da difendere, lo difende coi denti, e si vede. Blocchi stradali, consiglio comunale riunito accanto ai lavoratori in sciopero, tavoli di trattativa aperti a Caltanissetta con il Prefetto, a Palermo con Crocetta, a Roma con il governo, una città ferma e da giorni inaccessibile, una “vertenza” collettiva. C’è l’intera economia della Città del Golfo sul punto di saltare. Economia da sempre legata allo stabilimento Eni. Odiato a Gela per i suoi danni ambientali, ma nello stesso tempo considerato indispensabile per lo sviluppo, il lavoro, il futuro di una comunità che attorno all’impianto chimico e petrolifero è cresciuta nei decenni. Acquisendo benessere, una qualche sicurezza economica, maturazione sindacale e industriale e, negli ultimi tempi, anche la necessaria coscienza ambientalista di fronte alle morti registrate, alle malformazioni dei neonati, ai danni di una produzione industriale priva dei sistemi di sicurezza necessari per salvaguardare salute e territorio.

È di quelle città, Gela, in cui il lavoro legato all’industria e alla produzione non deve finire mai. Non dovrebbe finire mai. Per i danni ambientali che ne ha ricevuto. E invece oggi rischia seriamente di ritrovarsi inquinata senza rimedio e priva di quel lavoro per il quale ha dovuto pagare prezzi salati. Rischia di ritrovarsi senza più lavoro e senza la promessa bonifica del territorio e dell’ambiente. E ancora: senza alcuna riconversione alla produzione green verso cui l’Eni s’è pure impegnato.

“Vertenza Gela”. Da anni quest’espressione era scomparsa dal linguaggio e dalla pratica sindacale. A Licata si è sentita per l’ultima volta negli anni Ottanta, quando il sindacato ancora esisteva come soggetto politico (altra vecchia espressione); ed era in grado di riunire nella protesta, negli scioperi e nelle rivendicazioni tutte le categorie sociali e del lavoro. Cosa ci resta di quegli anni? Solo qualche nostalgia democratica nel nulla odierno di partecipazione e impegno.

Rispetto a Gela, Licata non ha nessun processo di deindustrializzazione da contrastare, nessuna fabbrica da salvare. Ciononostante è indubbia la sua perdita di coscienza politica e sindacale. Le condizioni per una “vertenza Licata” c’erano trent’anni fa e ci sono ancora. E forse sono condizioni (economiche e sociali) più gravi di quelle di Gela. Ma ormai qui ci siamo come rassegnati – giovani e anziani – a una vita da pensionati. E intanto abbiamo visto impoverire o perdersi l’edilizia, l’artigianato e il commercio. Abbiamo visto i giovani far la valigia e cercarlo altrove il lavoro. Nessuno mostra grande voglia di scendere in piazza e il sindacato è sparito dalla scena pubblica.

Resta un po’ di turismo estivo? Quello sì, va bene. Ma immaginiamo per un momento cosa sarebbe Licata se su questo settore strategico negli anni scorsi avesse investito seriamente offrendo ai suoi visitatori vie d’accesso degne, spiagge sempre pulite, una città sempre accogliente. Anche sul turismo, che nulla ha a che fare con la fabbrica e la sua coscienza politica, abbiamo tante cose da farci perdonare.

Gaetano Cellura