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R600x__colpo_di_stato_turchiaPiazza Taksim è la memoria della città disse tre anni fa Orhan Pamuk, lo scrittore più importante della Turchia. Ogni figlio di Istanbul vi è legato. Ne conserva un ricordo, un’immagine. È la piazza delle adunate politiche e delle parate militari. Ha ospitato in passato manifestazioni contro Erdogan come ora ospita folle islamiche e nazionaliste a suo favore e un grande striscione di parole truci contro il suo ex alleato Fethullah Gulen, indicato come l’ispiratore del fallito golpe. Pamuk, prima di diventare uno scrittore famoso, con il Nobel e con la diffusione dei suoi romanzi, rifiutò il riconoscimento di Artista di Stato in polemica politica con il suo paese; e nel 2008, alla Fiera del libro di Francoforte, denunciò la censura e la persecuzione degli scrittori in Turchia alla presenza delle sue autorità statali. I suoi libri parlano tanto della città in cui vive da sessant’anni che “scrittore di Istanbul” continuano a chiamarlo nonostante il successo mondiale.

La Turchia è in questo momento il centro nevralgico del mondo. Non ci fosse di mezzo il terrorismo islamico che a ripetizione colpisce la Francia e l’Occidente; non ci fosse di mezzo l’Unione europea, tentata fino a ieri di includere pure Erdogan e i suoi; non ci fossero l’America con la sua attuale ambiguità politica e i flussi migratori verso il nostro continente, la guarderemmo, guarderemmo quanto avviene al di là del Bosforo con occhi forse un po’ distratti. Preoccupati delle repressioni e delle epurazioni del Sultano, dei diritti umani sospesi, di come tratta (peggio delle bestie) gli avversari politici, dai militari ai magistrati e dagli insegnanti ai giornalisti. Preoccupati dalla pena di morte che intende applicare e dalla spinta ancora più autoritaria impressa al proprio potere.

Il fatto è purtroppo, per quanto importanti siano pena di morte, diritti umani e democrazia, in un paese in predicato di diventare membro dell’Unione, il fatto è che il fallito (o finto, come dicono) colpo di stato è diventato la scusa per una più radicale islamizzazione della Turchia e per seppellire ogni speranza di un suo governo laico. E così ritroviamo le donne turche con il velo negli uffici pubblici, la libertà d’espressione soppressa, i muezzin a Santa Sofia, un’idea di Stato fondata sulla religione. E potremmo ritrovarci anche con dei cittadini turchi che ci chiedono asilo politico perché non vogliono più vivere in un paese contrario ai diritti umani e civili.

Tutto questo mentre l’Europa, con il veleno dell’islamismo nel ventre, sta a guardare; e mentre l’America, impegnata nella campagna presidenziale, si mostra divisa al suo interno e indecifrabile nella politica internazionale. Già non si capiva prima con quanta reale buona volontà il governo turco si opponeva all’Isis e ostacolava il viaggio dei foreign fighters verso la Siria, quanto era sincero il suo impegno con l’Ue per fermare gli sbarchi di profughi e immigrati. Figuriamoci ora. Ora che lo scenario si complica per un’Europa sempre più senza bussola, che aveva scelto proprio Erdogan come guardiano dei suoi confini sudorientali. “I cambiamenti che ho visto a Istanbul negli ultimi quindici anni – dice Pamuk – sono più grandi e incredibili di quelli degli altri quarantacinque della mia vita”.

Quando Matilde Serao vi giunse in viaggio, allora si chiamava Bisanzio, e visitò la basilica di Santa Sofia, per secoli baluardo della cristianità, rimase fortemente scossa di vederla trasformata in una moschea. In silenzio la scrittrice ricordò il brano storico dell’entrata con la spada in mano di Maometto II e delle sue orde barbare nella città di Elena e di Costantino. Tutti i cristiani si rifugiarono nella Basilica, “come in un tabernacolo di salvezza”. Ma Maometto II vi entrò al galoppo spingendo bambini, donne e vecchi verso l’altare maggiore e trucidandoli. Su un’alta colonna di marmo, che rappresenta l’alto mucchio di cristiani massacrati, si vede la sua mano rossa di sangue innocente. Nel 1935  Kemal Atatürk, per rispetto alle religioni che si contendevano la Basilica, la trasformò in museo laico. Sono luoghi, piazza Taksim e soprattutto la basilica di Santa Sofia, della memoria storica; e del conflitto tra religioni e civiltà che dopo tanti secoli ritorna.

Gaetano Cellura

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