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IverticidellaRaffineriadiGelaSpaindagatiperomissionedicautelecontrodisastriLe vie d’accesso allo stabilimento sbarrate dai dimostranti e il cambio dei turnisti bloccato. Gela vive una situazione esplosiva, dopo che le trattative per scongiurare i licenziamenti sono saltate. Ne vengono previsti, con la chiusura della raffineria, quarantacinque nel diretto e altrettanti nell’indotto. E già le prime lettere di risoluzione del rapporto di lavoro, con decorrenza 12 luglio, sono state recapitate a quindici dipendenti di una società appaltatrice. Ma ci si rende conto che certe cose  l’economia della città e quella della regione non se le possono permettere?

Proprio oggi vengono diffusi i dati Istat relativi al 2013. E la Sicilia risulta la regione più povera d’Italia (32,4% di famiglie indigenti contro il 26 della media nazionale): con un impressionante calo dei consumi e una prospettiva di ripresa inesistente. Dati allarmanti. Ancora di più se si riflette sul fatto che i poveri in Sicilia erano di meno nel 2012. E non ci consola l’aumento della povertà su scala nazionale. Non ci consola dire: Sicilia povera in un’Italia povera (un italiano su dieci è indigente). Semmai ci fa disperare. Perché il divario tra le diverse parti della Penisola cresce sensibilmente e perché se l’ascensore sociale scende giù in tutto il territorio nazionale, in Sicilia sprofonda senza rimedio.

protesta_raffineria_gela (2)D’altra parte, era tutto previsto. Nel paese e nell’Isola. Da queste politiche, di parole e non di fatti, tanto a Roma che a Palermo, con l’economia relegata in fondo all’agenda delle priorità, potevamo aspettarci qualcosa di diverso e un miglioramento delle condizioni di vita?

Vero è che Renzi governa da appena sei mesi e che la crisi viene da lontano, ma non sembra che si parli d’altro all’infuori delle riforme istituzionali, dell’Italicum e dell’abolizione del Senato elettivo. E intanto arretriamo in tutto. Non so se chi  sconosce la realtà gelese sappia cosa rappresenti il petrolchimico per la città e per le altre più vicine. Cosa voglia dire perdere un pezzo così importante dell’apparato produttivo, accettare il declino storico di un territorio che dagli anni Cinquanta a oggi ha sacrificato l’ambiente e la qualità della vita al suo destino industriale e all’inevitabile inquinamento dell’aria e del sottosuolo.

Una volta c’era la Sinistra: e gli operai non venivano lasciati soli quando occupavano le fabbriche per salvaguardare i posti di lavoro. Berlinguer era con loro alla Fiat trentaquattro anni fa. E la sua presenza, la sua dichiarazione che il Partito li avrebbe sostenuti, se avessero deciso di occupare lo stabilimento, servì a far ritirare i licenziamenti e a sostituirli con la cassa integrazione speciale per 24 mila dipendenti. Oggi chi sta dalla parte dei lavoratori? Non si sa ancora nemmeno se il governatore Crocetta, che dovrebbe relazionare sulla questione gelese, sarà ascoltato al Senato né quale sia la politica industriale dell’attuale governo, tutto concentrato sulle riforme. Sappiamo solo che l’Indesit, altro pezzo storico del sistema produttivo italiano, è stata svenduta a Whirpool e che è stato detto sì agli americani e no ai cinesi che offrivano di più.

Gela entra in questo declino del paese, nello smantellamento delle sue (ormai poche) industrie rimaste. E senza che si intravedano altri investimenti occupazionali e produttivi.

Gaetano Cellura