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maxresdefaultChe bel dibattito s’è aperto sul film di Pif, In guerra per amore. Buttafuoco, e poi Mangiameli (ieri su La Sicilia). Ognuno a dire la propria sullo sbarco in Sicilia e sul rapporto tra gli americani e la mafia. Ognuno, manco a dirlo, a citare le proprie opere, i propri studi. E Mangiameli coglie il destro al volo per dirci che le sue, e quelle altrettanto serie di Lupo, sono pubblicate da noti editori. Come Einaudi e Donzelli. Dimenticando, o facendone finta, che questo vuol dire poco e che altri (senza titoli accademici) potrebbero fare lo stesso promuovendo i propri scritti sull’argomento: e quindi riducendo il tutto all’autocitazione e alla propaganda di se stessi. Cosa, di per sé, antipatica per natura. E dimenticando anche che c’è molta più verità umana nelle opere letterarie che nelle storiche: quasi sempre asciutte, secche e prive di poesia. Mi riferisco alle opere storiche sullo sbarco come a tante o a tutte le altre.

Se davvero vogliamo conoscere una certa società, il clima e i sentimenti di un’epoca è alla letteratura che dobbiamo rivolgerci, e alle sue spiegazioni oniriche, visionarie. Per far pochi esempi dei tanti che potrei farne, abbiamo un’idea migliore della Francia napoleonica o del Novantatré e della Vandea leggendo Balzac e Hugo piuttosto che i libri degli storici. Meglio Stendhal del miglior storico per aver l’affresco e la temperie di un’epoca. Meglio Joseph Roth e il suo gran bel romanzo La marcia di Radetzky se vogliamo aver l’idea della lenta decadenza dell’impero asburgico.

Detto questo, e dando comunque ragione al professor Mangiameli e al giornalista Buttafuoco sulle lacune storiche del film di Pif, una di queste la strage di Santo Pietro compiuta dagli americani, faremmo meglio a rivedere Rosalino Paternò soldato piuttosto che questo dell’attore palermitano. Almeno lì c’era Nino Manfredi. E il regista era Nanni Loy. Almeno in Rosalino Paternò soldato c’erano Licata, le sue strade, le sue piazze, i suoi quartieri, le sue spiagge, i nostri compaesani come comparse, il ricordo di una città in fermento e piena di curiosità mentre si girava il film. E nessuna banalizzazione della Sicilia. Nessuno dei tanti luoghi comuni che persino i bambini ormai conoscono. In guerra per amore di Licata c’è solo la venuta in città del suo autore, che ha poi girato il film altrove.

A Buttafuoco infine vorrei dire, se mai troverà questo “messaggio nella bottiglia”, che il fascismo non fece alcuna bonifica della mafia siciliana. Il prefetto Mori snidò molti briganti dai loro nascondigli e arrestò alcuni mafiosi senza prove certe. Poi fu fermato dall’accordo tra il regime e i grandi proprietari terrieri. Che si impegnarono a eliminare o a tenere a bada le frange criminali dell’isola, mentre il fascismo faceva altrettanto con le sue teste calde, che proprio quei latifondisti complici della mafia volevano combattere. La vicenda di Alfredo Cucco, leader del fascismo siciliano prima di cadere in disgrazia (e proprio per i suoi contrasti con le maniere sbrigative e sommarie di Mori), resta a testimoniarlo.

Gaetano Cellura