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Gabriel-Garcia-MarquezFu il ricordo di quell’estate trascorsa nell’ultimo lembo d’Europa a ispirargli titolo e milieu di uno dei suoi Dodici racconti raminghi (pubblicati nel 1992): L’estate felice della signora Forbes. Gabriel García Márquez si trovava in vacanza con la famiglia in quell’isola di rocce vulcaniche e di “mare liscio e diafano”. E forse pensava a Baudelaire e a un suo verso: “E tu sempre amerai, uomo libero, il mare!”

Quando il giornalista e narratore colombiano domandò cosa ci fosse di bello a Pantelleria, gli risposero: “Non solo il pesce fresco e il passito. Ci vada: tutto è un incanto.” E lui che d’incantesimi e magie, di magico realismo s’intendeva, non si lasciò pregare. Nel luglio del 1969, Cent’anni di solitudine era uscito da due anni, e a Pantelleria il futuro Nobel per la letteratura trascorse la sua estate felice. Ma non come quella della signora Forbes. Che fu tragicamente felice. O felicemente tragica. La protagonista del suo racconto finì i suoi giorni nell’isola, uccisa con ventisei (o ventisette: ora non ricordo) coltellate. Era un’educatrice tedesca la Dpantelleria 2signora Forbes, cui uno scrittore sudamericano, con più velleità che talento, aveva affidato i figli in vacanza. Mare, sole, pesca. Ma anche tanta buona educazione. Lei – così rigorosa, e odiata dai ragazzi – leggeva e declamava Schiller. Una mattina non andò a bussare alla porta della loro stanza per svegliarli. Non poteva più farlo: perché giaceva nella sua, in una pozza di sangue secco che aveva colorato il pavimento. Finale inatteso, folgorante. Màrquez dice che morire in quel modo – e senza un urlo, un lamento – era per la signora Forbes il prezzo pagato alla felicità. Che nel racconto si manifesta per lei solo durante l’amata lettura di Schiller.

In Italia l’autore di Cent’anni di solitudine era venuto altre volte. E sedici anni prima aveva seguito per El Espectador, quotidiano del suo paese, il caso di Wilma Montesi, la ragazza trovata morta sul litorale di Torvaianica. Fu il primo giallo del nostro dopoguerra e coinvolse personaggi influenti della politica e dell’aristocrazia romana. Tra questi un siciliano originario di Grotte. Si chiamava Ugo Montagna, amministrava la vasta tenuta di Capocotta, ed era conosciuto come il Marchese di San Bartolomeo. La morte di Wilma Montesi – si parlò di omicidio, di suicidio, ma in soli quattro giorni l’inchiesta venne chiusa dal questore di Roma come fatale incidente – destò clamore internazionale ed ebbe anche delle conseguenze politiche. Il ministro degli esteri Attilio Piccioni fu costretto a dimettersi perché il figlio Piero e il marchese Montagna finirono coinvolti nella vicenda. Ce n’era di sostanza per stimolare l’interesse di Márquez e per rendere circostanziate e precise le sue corrispondenze. Che sarebbe bello poter leggere dopo più di sessant’anni. E credo che sarebbero ancora utili, sempre utili a chi vuol fare il mestiere di giornalista.

La fantasia di Márquez in quella lontana estate del 1969 viene colpita dal sole fermo nel cielo di Pantelleria, isola nera tra due continenti. Dal suo paesaggio lunare, dalla caccia ai topi di montagna grossi come conigli, dalla vista notturna dei fari d’Africa come croci luminose, dal vento triste che arriva da Tunisi. Dalla pesca subacquea in fondali da sogno e dalle cene a base di pesce. Sicuramente la sera, in quel mese di permanenza a Pantelleria, Màrquez indossava pantaloni e camicie di colore bianco, il preferito. Dell’isola aveva colto e conservato per sempre nella memoria dettagli, colori, magie e miti.

Gaetano Cellura