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Bisogna chiedersi – il ministro Minniti per primo – con chi in Libia sono stati firmati questi accordi contro gli sbarchi. Con un governo i cui militari bastonano e frustano sulle navi gli immigrati? È quello che sappiamo: per averlo visto dai filmati o ascoltato dai racconti che arrivano dal Mediterraneo, sempre più diventato mare infernale. Poi c’è quello che non sappiamo e non vediamo, ma che immaginiamo: il trattamento riservato in Libia a chi vi arriva per tentare la traversata della speranza. E quale scempio dei diritti umani si consuma da quelle parti.

Ma gli accordi di Minniti, più che a limitare gli sbarchi in Sicilia, a questo sono serviti: a non farci vedere quanto avviene nei campi libici. Non vedendo crediamo di avere la coscienza a posto. La nostra coscienza di occidentali, di cristiani, di popolo democratico.

Poi senti a Modica il racconto doloroso di una moglie separata dal marito che non riesce a raggiungerla sul gommone dell’ONG tedesca, senti questo racconto dell’uomo in mare che non sa nuotare e resta appeso alla corda della nave libica che intanto riaccende il motore e se lo trascina via, e ti torna in mente quello che hai sempre saputo e a cui per qualche mese non hai più  pensato: e cioè che nessun accordo può porre rimedio alla tragedia epocale dell’immigrazione. Secoli di povertà, di sottosviluppo, di colonialismo e di sfruttamento da parte nostra delle risorse dell’Africa gridano sempre giustizia, invocano speranza, parlano alla nostra coscienza (se ancora ne abbiamo una) con il linguaggio della colpa, dell’accusa. E ci dicono ancora una volta quale china pericolosa ha preso questo mondo da cui gli dei sono fuggiti senza lasciare pane e vino alla stragrande maggioranza della sua popolazione.

L’accordo firmato da Minniti con governatori e sindaci della Libia ci ha dato un po’ di tregua, è stato una risposta (magari elettorale) alle nostre paure dello straniero diverso da noi, ma ora – di fronte a uomini picchiati, a bambini annegati – mostra tutta la sua fragilità politica e morale.

Gaetano Cellura