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sicilia_seduta_inaugurale_ars_seduta_3_ansa_1È uno dei tanti segni della scarsa qualità della nostra democrazia e della mediocrità assoluta delle classi dirigenti nazionali e regionali dal 1992 a oggi. Quante leggi elettorali abbiamo cambiato o continuamente modificato da allora?

L’elezione diretta del sindaco sembrava funzionare meglio delle altre. Tant’è vero di volervi ricalcare, a un certo punto, persino la legge elettorale nazionale. Ricordate quando si voleva eleggere il Sindaco d’Italia?

La Sicilia, ultima regione a ricorrere all’elezione diretta del governatore, si faceva apprezzare poi per i ripetuti distinguo introdotti nelle leggi elettorali dei propri comuni. Tanti d’averne perso il conto. E così ingarbugliati da farci rinunciare a capirli. Un potere legislativo che gli viene dall’Autonomia di cui, comunque, fa uso e abuso. Ieri è stata di nuovo modificata, tra polemiche e proteste, la legge sull’elezione diretta dei primi cittadini. Ora il 40 per cento dei voti basta per la loro elezione al primo turno. Ma deve essere accompagnata dallo stesso risultato delle liste sostenitrici. Altrimenti il sindaco si ritrova senza maggioranza in consiglio comunale. E la stessa cosa succede se va al ballottaggio, lo vince, ma le liste del candidato avversario hanno raggiunto il 50 per cento al primo turno. Viene confermata la doppia preferenza di genere, ma sarebbe stato meglio eliminarla perché si è rivelata, come abbiamo visto, strumento di controllo del voto. Viene reintrodotto l’effetto trascinamento: il voto al consigliere o alla lista collegata vale anche per il sindaco. Ma la cosa più rilevante è che ora basta il 60 per cento dei consiglieri per poterlo sfiduciare.

Morale: il sindaco ritorna prigioniero del consiglio comunale che si riappropria, in questo caso, di prerogative maggiori rispetto a quelle di cui godeva. Riequilibrio dei poteri? Mah, si resta titubanti. I deputati di maggioranza all’Ars esultano, e non ne vediamo onestamente la ragione. Perché così viene meno il valore della scelta fatta dai cittadini nell’urna. Avrà ancora un senso chiamarli a scegliere il sindaco se poi il consiglio (facciamo l’esempio di Licata) grazie alla nuova legge può sfiduciarlo con appena 16 dei suoi membri? Era meglio, a questo punto, tornare alla legge in vigore fino al 1990 e far eleggere e decadere il sindaco in consiglio comunale. Riconoscere dunque il fallimento di tutte queste riforme e delle classi dirigenti che hanno prodotto. E non solo nelle città.

Gaetano Cellura