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polizia belga2-3Più d’ogni altro stato musulmano, più dell’Iran che disattende l’accordo sul contenimento delle armi nucleari, la Turchia diventa e forse è sempre stata la chiave di tutto: per capire, risolvere oppure aggravare il conflitto tra islam e occidente. Perché di questo si tratta: d’un conflitto. Di civiltà e di religione, sebbene papa Francesco continui a negarlo.

In questi giorni di attentati terroristici contro l’occidente al grido di “Allah Akbar”,  abbiamo letto e registrato pareri autorevoli. Lo storico medievista Franco Cardini ha scritto che non ci odiano perché siamo liberi, ma perché presentiamo come libera e avanzata la nostra società dimenticandone le ingiustizie e l’immoralità presenti. Un parere contraddetto non solo da quanti non la pensano come lui, ma anche dalle parole esplicite di Abbasi Madani. Il  leader del Fronte islamico di salvezza, intervistato da un giornalista francese, concentra le colpe dell’occidente nell’aver rinnegato la Rivelazione e nell’adorazione della Ragione e della Materia. E poiché, secondo lui, la forza di penetrazione della cultura laica dell’occidente non conosce confini, l’Umma (cioè la comunità musulmana) deve contrapporre degli argini impenetrabili. Questo punto di vista, ovviamente, presenta il jihad solo come una guerra di difesa. E non è poi così originale come potrebbe sembrare. Ha preso piede, soprattutto nella parte più integralista dell’islam, man mano che la presenza dei musulmani in Europa aumentava negli anni e la “purezza” della loro religione correva rischi di laica contaminazione. Tema peraltro condiviso dagli ambiti culturali dell’occidente da tempo sensibili all’idea d’una guerra di civiltà o di religione.

Anni fa, quando la Turchia bussava alle porte dell’Europa e presentava problemi di democrazia che ne rendevano difficile l’entrata, ma non era nelle condizioni peggiori sul piano dei diritti umani in cui con Erdogan ora si trova, il suo romanziere Orhan Pamuk inquadrava la realtà del proprio paese in quella, più generale, del rapporto Oriente-Occidente. Un rapporto di povertà e di ricchezza, di tradizione e di modernità, ma anche di pace. E invitava l’Europa e i suoi politici a non avere sentimenti anti-turchi. Gli europei potevano sì criticare le lacune di democrazia dello stato turco, ma senza mai offenderne la cultura. Perché la risposta sarebbe stata in Turchia quella tipica del paese offeso e umiliato. E cioè “un contraccolpo nazionalista e anti-europeo assai violento”. Pamuk acutamente notava che chi crede nell’unione europea deve scegliere tra la pace e il nazionalismo: “o avremo l’una o avremo l’altro”.

Ma sono discorsi di più dieci anni fa. La situazione politica della Turchia e il suo ingresso in Europa già difficili allora, lo sono ancora di più oggi con la sospensione dei diritti umani e civili imposta da Erdogan dopo il fallito colpo di stato contro di lui e con la prospettiva che il Sultano sfrutti la propria forza per fare una rivoluzione islamica.

E questo purtroppo non è il solo problema. C’è una forte recrudescenza del terrorismo acuita da un radicalismo religioso che si richiama all’islam politico e dunque alla contrapposizione culturale tra due modelli di civiltà inconciliabili. Uno crede nella Città sacra che espelle ogni idea suprema di laicità, nega la libertà di pensiero sancita dall’articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, invoca la sharia e la guerra per il dominio del mondo; l’altro (il nostro) crede nella Città secolare con i suoi valori di libertà, democrazia, separazione tra sfera laica e religiosa. Quei valori che l’islam politico combatte ritenendoli pagani.

(g.c.)

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