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traghettoSiamo proprio tagliati fuori. Siamo il sud del sud Italia abbandonato al suo destino. E se qualcuno di noi ancora non lo sapeva, lo toccherà con mano quando dovrà scendere dal treno a Messina e imbarcarsi con i bagagli per Villa San Giovanni.

Il piano delle Ferrovie prevede questo a partire da giugno. I treni si fermeranno nella città dello Stretto. Solo due (notturni) assicureranno ai passeggeri la continuità del percorso. Sino a Roma. Niente più treni per Milano o Torino. Dunque tutti a piedi all’andata, a Messina, e al ritorno, a Villa San Giovanni. Non ci sarà più il traghetto, il ferryboat come siamo stati abituati a chiamarlo, che lega la Sicilia all’Italia. Niente più arancini al sugo, caffè, e sandwich nella sala bar con vista sul mare dello Stretto dove Stefano D’Arrigo sentiva piangere i delfini. E tanti ricordi di avventure o d’incontri cancellati. Guarda, – diceva Alberto Sordi alla moglie continentale in un noto film – guarda la Sicilia che si avvicina. Lui faceva la parte del siciliano nel film e si mostrava orgoglioso della sua Isola. Ma lei, dal ferryboat, guardava indietro mentre attraversavano lo Stretto e rispondeva: “La Sicilia che si avvicina? Ma io guardo l’Italia che si allontana”.

Per tanto tempo, fino ad ora, è stato il traghetto delle Ferrovie (una volta dello Stato) a farci credere di essere italiani. In realtà dal nostro essere Isola non ci siamo mai liberati: un po’ per indole, un po’ per costrizione. Perché il paese, lo Stato, quello che doveva essere lo Stato di tutti, ci ha abbandonato. E un po’ anche per colpa nostra. Questo non dimentichiamolo mai. Non dimentichiamo mai quanta gente, buona soltanto a rappresentare se stessa e i propri interessi e privilegi, abbiamo mandato nei parlamenti nazionali e regionali. Oltre a questo, oggi facciamo i conti con qualcosa che non avevamo previsto negli anni passati: un piano di tagli e di macelleria sociale che non guarda in faccia nessuno in questo mondo liberista di rigore, austerità, profitti e bilanci in ordine e insensibile ai disagi di quanti viaggiano (non per svago) ma per bisogno e si portano dietro le loro pene.

Hanno parlato ieri Crocetta e Renzi, nel loro tavolo romano, del nuovo (assurdo) piano delle Ferrovie? Delle ricadute occupazionali che il fermo dei traghetti comporta in Sicilia, in Calabria, in buona parte del meridione?

Non è solo quella che viviamo nell’Isola una situazione di bilanci, debiti da ripianare. Ma di dignità sociale e politica cui deve far riscontro una mobilità forte, non solo dei sindacati che hanno già lanciato l’allarme occupazionale, ma di tutta la politica e di tutti noi per continuare a essere cittadini di uno stesso Stato. Il nuovo piano ferroviario deve essere fermato e i treni devono continuare a correre dalla Sicilia al continente.

(g.c.)