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121-luciano-lama1In prima linea nella difesa dei lavoratori e nella difesa dello Stato repubblicano. Il sindacato come punto di riferimento di tutti i cittadini, per la democrazia, nella dura opposizione al terrorismo degli anni settanta. In prima linea contro le stragi di Brescia e di Milano, contro le violenze fasciste e separatiste dei “Boia chi molla!” di Reggio Calabria. In prima linea con Tina Anselmi, ministro del lavoro, e con i partiti, nella manifestazione per l’unità nazionale quando viene rapito Aldo Moro e l’escalation del terrorismo brigatista raggiunge il culmine. In prima linea, sempre. Nel settembre del 1944 il ventitreenne futuro leader della Cgil è alla guida della brigata partigiana Garibaldi per liberare Forlì dai tedeschi e dai fascisti. E in prima linea sarà per difendere l’unità del sindacato e la sua autonomia dai partiti.

Luciano Lama, morto a Roma il 31 maggio di vent’anni fa, era ossessionato dalle divisioni sindacali. Che considerava come momenti di debolezza. O d’indebolimento, ancora peggio. E diceva che compito del sindacalista è “trattare, trattare fino all’ultimo”. Perché “rompere è facile, ma ricostruire molto più difficile”. Anche se i tempi sono cambiati, e i governi prendono decisioni senza più consultare nessuno, Lama avrebbe trattato sino alla fine anche sul Jobs Act renziano, questa pessima riforma del lavoro. Fosse dipeso da lui, non avrebbe rotto l’unità sindacale sul referendum per il taglio di quattro punti di scala mobile. Ma quel referendum, perso, era stato promosso dal Pci contro il governo Craxi. E Lama non ne era entusiasta. Perché aveva un valore politico più che sindacale. Tant’è vero che i comunisti della Cgil si ritrovarono soli contro il resto del sindacato e delle forze politiche.

Intervistato da Repubblica il 31 maggio scorso, Giorgio Benvenuto (allora segretario della Uil) ci ricorda questo e altri momenti del sindacalismo riformista di Luciano Lama. Momenti della storia del paese e della sinistra italiana. Quelli vissuti insieme, quando Cgil, Cisl e Uil erano così forti da essere accusate di pansindacalismo, e quelli che lui gli raccontava. Come la scissione del 1948 tra cattolici e comunisti. Considerata momento di liberazione: “Finalmente non dovremo più mediare con quelli lì” disse a Di Vittorio, storico capo della Cgil. Salvo poi fare autocritica: “Non eravamo più liberi, siamo diventati più deboli” (i cattolici fondarono poi la Cisl). E da allora l’unità sindacale diventa per Lama una fissa. Nonostante le divisioni interne alla Cgil, da quando lui, nel 1970, ne assume la guida (succedendo ad Agostino Novella) mai uno sciopero separato dalle altre organizzazioni.

O come le riunioni in casa di uno zio di Benvenuto durante l’invasione sovietica dell’Ungheria, sessant’anni fa. Lo zio era segretario degli statali iscritti alla Cgil e a quelle riunioni, cui il giovanissimo Giorgio assiste, partecipano Di Vittorio e Lama. Di Giuseppe Di Vittorio era nota la posizione politica contro i carri armati sovietici a Budapest. Togliatti disse di lui che era “un sentimentale”, lo sottoposero a una sorta di processo e Antonio Giolitti ricorda d’averlo visto piangere un giorno che insieme tornavano a casa in automobile.

imagesAlla giuda del maggiore sindacato italiano Lama rimase sino al 1986. Nel Pci godeva di tanto prestigio che per lui potevano aprirsi le porte della successione a Enrico Berlinguer, morto due anni prima. Ma era ritenuto troppo debole con Craxi per dare continuità alla linea d’opposizione al governo tenuta dal defunto segretario. E così gli fu preferito Natta.

Di Lama si ricordano il patto federativo del 1972 con Cisl e Uil; l’accordo del 1975 con Gianni Agnelli, presidente di Confindustria, sul punto unico di contingenza; la contestazione all’università di Roma, organizzata da una minoranza di falsi rivoluzionari, mentre lui indicava agli studenti quando era necessaria l’unità per il progresso democratico e civile dell’Italia; e l’intervista a Scalfari, che fece tanto discutere, sulla fine del salario come variabile indipendente del nostro modello economico, preliminare alla svolta sindacale dell’Eur.

La sua nuova visione del sindacato si basava sul welfare state, inteso come garanzia di diritti e doveri per i lavoratori, non come mero assistenzialismo. Nel 1987 Lama è stato eletto senatore e l’anno dopo sindaco di Amelia, un paese della provincia di Terni dove aveva una casa di campagna.

Gaetano Cellura