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0faa8426458b478aa4096a76112a538fCose da futuro Premio Nobel per la letteratura.  “Ti ricordi, mamma, dell’eclisse?” le chiese il piccolo Luigi non appena raggiunta l’età del giudizio. “Accendeste il lume di giorno”. Donna Caterina, che a Girgenti aveva cucito il primo tricolore dopo lo sbarco dei Mille, fece un po’ di conti e rimase basita. Lei sì che ricordava. Ed era normale. Ma quell’oscurità improvvisa come poteva essere rimasta impressa nella mente di un bimbo di soli otto mesi? Pure i particolari Luigi ricordava – il lume acceso di giorno. Il fatto (incredibile) probabilmente è vero. E i biografi di Pirandello lo riportano.

Cose di un bimbo con un futuro da Premio Nobel. Che allo scrittore e drammaturgo agrigentino viene consegnato a Stoccolma il 10 dicembre del 1934, ottant’anni fa. Meritato, indubbiamente. Per il successo nel teatro soprattutto. Pirandello viene festeggiato a Stoccolma e acclamato il giorno prima alla Farnesina dai colleghi dell’Accademia d’Italia.

Ma meno di un anno dopo, il 13 ottobre del 1935, al ritorno da un viaggio in America, sbarcato a Napoli dal transatlantico Conte di Savoia, dal volto dello scrittore sono già scomparsi il sorriso e i segni della gioia per l’ancora recente riconoscimento mondiale. È stanco, malato e mostra più dei suoi sessantotto anni. L’avventura americana non era stata un successo e Pirandello sembrava aver perso perfino la sua grande passione per il teatro. E benché sei anni prima avesse scritto sul Corriere della Sera che “in America la vita è dei vivi” mentre “in Europa la vita soffre del troppo consistere delle sue vecchie forme”, benché queste parole, tornava visibilmente deluso e sempre più tormentato dalla dedizione senile per Marta Abba. In America aveva incontrato Einstein, altro premio Nobel. Il fisico era in esilio e il loro incontro non fu affatto tenero, anche se le vecchie immagini diffuse lo mostrano come un incontro disinvolto.

Elio Gioanola, critico psicanalitico e autore di Pirandello story, opera in cui  definisce lo scrittore “schizoide sano di mente” e in cui studia la presenza della follia nel suo teatro e nella sua narrativa, dice che Einstein gli rinfacciò le sue prese di posizione pubbliche a favore del fascismo. E forse anche queste accuse dello scienziato devono averlo turbato non poco.

Luigi Pirandello cui a soli otto mesi di vita era rimasta impressa l’eclisse del 1868, anche dopo l’assegnazione del Nobel due anni prima della morte, continuò a parlare del suo “candore”, della sua innocenza. Un’innocenza che gli procurò delle amarezze. Perché fin da bambino aveva piena fiducia di farsi “intendere da chiunque”. Salvo poi rendersi conto di dover affinare le sue “facoltà espressive” e della necessità di studiare coloro con cui avrebbe avuto da fare.

Gaetano Cellura